Messaggi privati, Facebook sotto accusa
Già messo sotto accusa nella prima metà di dicembre per il monitoraggio di ciò che viene digitato, anche se non pubblicato, nella sezione ” A cosa stai pensando?”, Facebook oggi è di nuovo nell’occhio del mirino grazie alla “class action” mossa da due cittadini americani, Matthew Campbell e Michael Hurley, secondo la quale il social network intercetterebbe i messaggi privati di tutti gli utenti.
Per lo studio condotto dal ricercatore Savik Dase e dal data scientist di Facebook Adam Kramer, dal 6 al 22 luglio 2012 sono stati monitorati gli stati scritti e poi cancellati, quindi non resi pubblici agli amici del social netwoark, di 3,9 milioni di utenti. “Self Censorship on Facebook” questo il titolo della ricerca, il risultato ha dimostrato che il fenomeno dell’autocensura colpisce sette utenti su dieci, maggiormente uomini in particolare se hanno un gran numero di amici di sesso maschile su Facebook.
Lo scopo della ricerca era quello di minimizzare l’eventuale spinta all’autocensura del social network, ma le polemiche sono state mosse dalla vaghezza dei ricercatori nell’esporre i metodi di ricerca, nonostante abbiano dichiarato che i testi degli stati non pubblicati non siano mai stati inviati ai propri server, ma soprattutto dalla conclusione della presentazione dei risultati ” Il prossimo passo sarà capire meglio cosa e perché autocensuriamo”. L’idea che persino le cose che decidiamo di non pubblicare possano essere usate a scopo commerciale, o quant’altro, già aleggiava dopo questa ricerca; a oggi l’accusa di Matthew Campbell e Michael Hurley non fa che rendere ancora più plausibile questa ipotesi. L’accusa, infatti, sostiene che Facebook monitorerebbe i messaggi privati degli utenti per fornire informazioni agli investitori, in particolare l’attenzione è ai link che vengono inviati: infatti nel momento in cui un’utente invia il link , tramite un messaggio privato, l’azione viene registrata e va a creare un profilo web di chi ha inviato il messaggio. Lo studio di tale profilo porterebbe poi a definire le preferenze e le caratteristiche del mittente, con il fine di fagli mettere mi piace sulla pagina in questione. Il fatto che gli utenti credano di parlare in privato crea una grande occasione per Facebook, quella di accedere ad informazioni che non verrebbero scritte dagli utenti se sapessero di essere monitorati, quindi molto redditizie se rivendute alle persone giuste; questo viene scritto nella causa, con la richiesta di 100mila dollari di risarcimento per ogni giorno di violazione della privacy o 10mila dollari per ogni utente coinvolto.
Il passato di Facebook non è del tutto immacolato:nel febbraio del 2012 un ragazzo statunitense ha dichiarato a Buzzfeed che dopo aver sostenuto alcune conversazioni private in cui parlava della sua omosessualità, siano apparsi successivamente al posto dei classici messaggi pubblicitari annunci dedicati a persone omosessuali. Nell’agosto del 2013 il social network ha pagato una sanzione di 20mila dollari per aver usato a scopo pubblicitario foto e nomi di utenti senza il loro permesso. Il portavoce di Facebook, Jackie Rooney, ha respinto ogni accusa.