Ex schiave yazide dell’Isis ricevono il premio Sakharov
Il Parlamento Europeo ha assegnato il premio Sakharov del 2016 a due coraggiose attiviste ex schiave yazide dell’Isis, Lamiya Aji Bashar e Nadia Murad Basee Taha. Il premio Sakharov riconosce l’impegno profondo e costante di persone e di enti che, ogni anno, lasciano un segno indelebile nell’ambito della salvaguardia dei diritti umani e delle libertà inalienabili dell’uomo. Le due giovani donne yazide, originarie di Kocho, un villaggio nel nord dell’Iraq sul monte Sinjar, furono rapite dai miliziani dell’Isis nell’agosto del 2014, insieme ad altre migliaia di donne e bambine. Mentre il mondo restava a guardare, Nadia e Lamiya divennero schiave dell’Isis, costrette a subire ogni tipo di violenza fisica e psicologica.
Lo scorso settembre Nadia Murad è stata nominata ambasciatrice Onu per la dignità dei sopravvissuti al traffico di esseri umani, essendo una superstite della violenza disumana e delle torture dei miliziani dell’Isis. Le due giovani però vogliono andare oltre e aspirano al riconoscimento del genocidio della popolazione yazida in Iraq, minoranza religiosa vittima della violenza feroce del fondamentalismo sunnita. Quando furono rapite nell’agosto del 2014, insieme ad altre 5mila donne e bambine, furono condotte dai jihadisti a Mosul, in camere già attrezzate con centinaia di materassi buttati a terra che prefiguravano quale sarebbe stata la loro triste sorte: quella di diventare le schiave del sesso dei miliziani dell’Isis. Le giovani donne venivano violentate più volte al giorno, alcune di loro riuscivano a scappare mentre altre attendevano con la speranza di essere salvate dai soldati della coalizione internazionale. Spesso le donne venivano vendute come schiave, talvolta perdevano il ciclo per la paura e il forte dolore, e non mancavano quelle che tentavano il suicidio fin dai primi giorni di prigionia.
Le schiave yazide dell’Isis e la “Teologia dello stupro”
Questa pratica della schiavitù sessuale delle donne e delle bambine di minoranza yazida è stata legalizzata al punto che oggi si parla di una “Teologia dello stupro”, anche se qualcuno dovrebbe spiegare al mondo quale razza di dio minore possa volere un tale scempio. I combattenti dell’Isis vorrebbero recuperare le pratiche ed i rituali legati al tempo in cui fu scritto il Corano, tra cui vi è appunto la schiavitù e lo stupro delle giovani yazide viene tristemente incoraggiato in quanto loro sono definite infedeli e colpevoli di praticare il politeismo, mentre le donne cristiane ed ebree – che professano l’esistenza di un solo Dio – vengono considerate “meno” infedeli. Le coraggiose donne yazide devono preoccuparsi non solo di sopravvivere al proprio dolore ma devono anche fare i conti con i tabù sociali che le perseguitano. Alcune, infatti, hanno preferito rimanere schiave dell’Isis perché, dicevano alle altre compagne, se fossero tornate a casa non vergini o incinte, le loro famiglie le avrebbero certamente rinnegate come se lo stupro fosse una colpa capace di trasformarle da vittime in ree. Altre giovani yazide invece, riscattate dalle famiglie che hanno pagato per la loro libertà tra i 200 e i 2mila dollari, una volta tornate a casa non hanno resistito al dolore e si sono suicidate. Molte donne hanno abortito perché non volevano portare in grembo i figli dei terroristi, ma perfino questa scelta talvolta è difficile da perseguire dato che l’aborto in Iraq è illegale.
Ora, non solo il Parlamento Europeo ma il mondo intero riconosce Nadia e Lamiya come voci delle donne di minoranza yazida vittime di stupro e di altre atrocità. Le due donne, grazie al loro incredibile coraggio oggi sono infatti diventate il simbolo della resistenza e della lotta contro il fondamentalismo islamico. Martin Schulz, Presidente del Parlamento Europeo, ha sottolineato l’importanza di questo riconoscimento alle due giovani yazide dichiarando che «con le violenze subite sulla loro pelle sono un incoraggiamento ed un simbolo per noi a non aver paura dell’Isis».
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