Le stagioni di Louise, quando l’avventura non ha età
La primavera è arrivata e questa è la fine della storia. Una considerazione che racchiude tutto il senso e il sentimento di Le stagioni di Louise, in cui un’anziana donna si ritrova, per errore, a dover trascorrere un’intero anno in una località costiera della Normandia in completa solitudine. E allora i mesi dell’anno in cui la meta vacanziera resta deserta ed immobile nell’immaginario dei suoi più affezionati frequentatori estivi si rivelano essere lo spunto per un’esperienza unica tutta riservata alla donna.
Louise è una signora anziana, solitaria ed abitudinaria. In seguito ad un breve momento di smarrimento, subito si mette all’opera per munirsi degli strumenti necessari alla sopravvivenza, per costruire un cantuccio in cui rintanarsi e, soprattutto, per creare una propria routine quotidiana. Le stagioni di Louise è infatti l’avventura narrativa ed esistenziale di un personaggio fortemente annoiato dalla vita, tanto da dimenticarne presenze ed eventi importanti, che in questo lungo periodo è costretto a dialogare con i propri ricordi e con la natura circostante. E’ incredibile la rassicurante e serena lucidità con cui la vecchietta ci trasmette un’importante lezione di vita: mai arrendersi e, soprattutto, ricordarsi che l’avventura non ha età. Pepper, il compagno a quattro zampe con il quale dialoga Louise, è il controcanto filosofico che salverà letteralmente la donna.
L’interpretazione fuori campo della grande Piera degli Esposti dà voce al diario solitario della protagonista, con intonazioni morbide e pacate che si ripiegano dolcemente sulle note allegre del pianoforte di Kellner e sugli incredibili suoni della natura. Il regista Jean François Laguionie definisce Le stagioni di Louise “la pellicola più intima che abbia realizzato”. Eppure nella narrazione si avverte la mancanza di alcuni passaggi riflessivi che permettano agli spettatori di cogliere a pieno l’interiorità della protagonista e di ricostruire il suo passato emotivo e di maturazione. I ricordi restano sospesi in un limbo nebuloso e ai titoli di coda ci chiediamo ancora in che maniera potremmo montarli tra loro.
Ciò che rende indimenticabile questo film di animazione è invece proprio l’inconfondibile stile grafico. Colori pastello, figure bidimensionali a campiture di colore ed echi onirici surrealisti sono amalgamati perfettamente attraverso la matita, l’acquarello e il wash-drawing. Ciò cui ambiva il regista Laguionie era un senso totale di libertà e l’illusione che l’animazione sembrasse realizzata a mano. Il risultato è un piacevole lungometraggio naive in cui, lì dove la narrazione può risultare lenta e carente di contenuti, le immagini e le luci dei gialli e del mare trasmettono una sensazione di incredibile ottimismo e serenità.
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