Letta e Alfano? Non me somigliano pe niente
Ci aveva provato, Letta, a evocare un’unità d’intenti tra i “nuovi” giovani della politica. A Natale siamo tutti più buoni, dicono, e il traballante Primo Ministro aveva sperato che lo scalpitante sindaco di Firenze si facesse accostare a lui e Alfano in nome della svolta generazionale. Renzi, però, ha risposto picche: «non voglio essere assolutamente accomunato a loro».
Non ci sta, il neosegretario del Pd, a essere il terzo elemento di un ipotetico tridente d’attacco dei quarantenni al potere e marca con forza le distanze. Nessuna corrispondenza d’amorosi sensi: tra i tre leader c’è una diversità profonda, ontologica. In un’intervista a «La Stampa» Renzi non va troppo per il sottile: Letta è stato portato al governo da D’Alema –l’acerrimo nemico del segretario democratico-, Alfano da Berlusconi. Lui, invece, ha dietro di sé un’investitura popolare, il mandato dei cittadini che lo hanno votato in massa alle Primarie. L’affondo renziano sembra essere rivolto non solo al Capo del governo e al suo vice ma anche, e forse soprattutto, all’esecutivo delle ex larghe intese nel suo insieme, frutto della volontà di Napolitano e non di quella degli elettori. È l’ennesimo attacco di Renzi al governo, che arriva dopo le polemiche su un ipotetico rimpasto. Chi pensava che Letta avrebbe potuto mangiarsi in pace il panettone nella noia sonnacchiosa delle vacanze natalizie è rimasto deluso. Ci ha pensato due giorni fa Davide Faraone, renziano di ferro e membro della segreteria del Pd, a far andare di traverso al Primo Ministro gli ultimi avanzi del pranzo di Natale: o si cambia o si muore, aveva detto, il rimpasto non basta.
Rimpasto, una parola che ha un’eco lunga, da Prima Repubblica. Renzi precisa subito: «io quella parola non l’ho mai pronunciata e mi fa anche un po’ senso». Nello «sfogo di pancia» di uno dei suoi fedelissimi, però, vede l’insoddisfazione del 99% dei cittadini nei confronti del “Governo del fare” che non fa o, se fa, spesso sbaglia. Cercando di ridimensionare le dichiarazioni al vetriolo di Faraone, quindi, il segretario sembra voler mettere in chiaro come stanno le cose: se il governo fa (sottinteso: quello che diciamo noi?) va avanti, altrimenti tutti a casa. Renzi ha paura di rimanere imbrigliato in questi giochi di potere e di perdere quella carica di novità che potrebbe garantirgli la vittoria anche nelle urne. Proprio per questo rimarca la sua diversità ricordando: io non sono come loro, io sono l’alternativa. E se i montiani di Scelta Civica (a volte ritornano) invocano il rimpasto per mantenere il proprio posto al sole ora che Mauro li ha abbandonati, l’obiettivo dei renziani sembra quello di far tremare le poltrone che ci sono già. Letta, che sa che un rimpasto in un momento così delicato potrebbe mettere a rischio la tenuta dell’esecutivo, smentisce categoricamente la possibilità di mettere mano ai Ministeri: «la squadra (meno male ci ha risparmiato il “che vince”) non si cambia». Da gennaio però, con il contratto di coalizione, potrebbe esserci un «nuovo inizio» e qualche testa potrebbe saltare: in pole position, secondo le indiscrezioni, il ministro “tecnico” Saccomanni ma anche Giovannini e Cancellieri, questi ultimi invisi alla nuova leadership del Pd.
Il nuovo anno, però, rischia di iniziare col botto per l’esecutivo. Alle critiche costanti del Pd targato Renzi e del M5S, da sempre ostile al governo di (più o meno) larghe intese voluto da “Re Giorgio”, si uniscono quelle di FI. Berlusconi, prendendosi il merito dell’abbassamento della pressione fiscale nel 2013 annunciato da Letta, è tornato all’attacco al grido di «meno tasse per tutti», evocando lo spettro della sinistra amante delle imposte. Ed è proprio a Renzi, nuovo solo “anagraficamente”, che guarda Berlusconi: altro che uomo di centro pronto a snaturare la sinistra tradizionale, il sindaco di Firenze, secondo il Cavaliere, è un uomo di Sinistra (quella peggiore) fatto e finito. Il pressing forzista per le elezioni anticipate, in concomitanza con le europee di maggio, potrebbe però fare proprio il gioco di Renzi, pronto a staccare la spina dell’esecutivo se le riforme tanto vagheggiate non saranno messe nero su bianco. E se Letta prova a ignorare le accuse del segretario Pd, colpevole di animare «dispute tra primedonne», sa bene che i suoi oppositori potrebbero trovare una convergenza proprio sulla legge elettorale. Renzi, se si smarca da coloro che lo vorrebbero pronto ad andare alle urne, annuncia una nuova offensiva proprio su questo tema e torna a ripetere: la riforma, frutto del lavoro del Parlamento e non del governo, deve essere condivisa anche con Fi e M5S. Il cammino di Letta e del suo esecutivo sembra sempre più accidentato. Speriamo che il panettone di quest’anno fosse buono: il Natale del 2014, per questo governo, sembra troppo, troppo lontano.
di Costanza Giannelli