Il referendum del 4 dicembre visto dai giornali stranieri

Sul referendum del 4 dicembre si è discusso, nei mesi passati, con febbrile attenzione sui mezzi d’informazione italiani e non. Il quesito, che ha chiamato alle urne per decidere circa il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi del funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della costituzione, e respinto con una vittoria schiacciante del no ha polarizzato l’attenzione anche sui media stranieri, preoccupati principalmente per la stabilità politica ed economica del paese e per le conseguenze a livello internazionale.

 

Quali effetti sul governo?

Matteo Renzi ha lasciato intendere più volte che il voto del referendum sarebbe stato un voto sul suo governo; una sovrapposizione che ha fatto passare i contenuti delle riforme in secondo piano. Ma anche un’arma a doppio taglio, che per il The Guardian «spiana ora la strada alla Lega Nord e al Movimento 5 stelle». Il quotidiano inglese riconosce al premier il merito di aver garantito «dei lievi miglioramenti nell’economia del paese, che ha riacquistato la reputazione internazionale dopo l’affossamento provocato da Silvio Berlusconi». Ma al di là del risultato, il problema principale di Renzi, spiega, è stato quello «di aver fallito nel tentativo di guadagnare la fiducia della stragrande maggioranza degli elettori». L’attesa del voto ha creato tensione anche nei mercati. Alla vigilia del referendum del 4 dicembre il The Sun scriveva che «le dimissioni di Renzi sarebbero viste dai mercati come la prova definitiva che l’Italia è incapace di fare le riforme. Già il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato che difficilmente l’economia italiana tornerà alle condizioni pre-crisi prima della metà del prossimo decennio». E all’indomani dell’esito, sempre il Guardian scrive che «La vittoria del no avrà profonde ripercussioni per l’Italia e probabilmente darà uno scossone ai mercati europei e globali per i timori sull’economia del paese e l’evidente crescita dei partiti populisti».

Le conseguenze per l’economia

«La vittoria del no potrebbe causare una catena di reazioni finanziarie disastrose», scriveva il The Economist in un articolo del 3 dicembre. Questa, del resto, è stata l’opinione principale dei media europei. La ragione è la stessa alla base del nervosismo dei mercati che ha preceduto il voto: il timore era che una sconfitta politica di Renzi avrebbe significato una prolungata stagnazione politico-economica. Il settimanale britannico ha così lasciato intendere che gli svantaggi di un voto a sfavore sarebbero stati di gran lunga maggiori dei suoi benefici. Il voto sulla riforma Boschi-Renzi, ha scritto, avrà ripercussioni anche sulle banche, in particolare su Monte dei Paschi di Siena. I suoi investitori, che hanno guardato con apprensione al referendum, ora saranno riluttanti a impegnare il proprio denaro. In poche sono state le testate a pronunciarsi contro il sì. L’Economist non ha negato che la riforma Renzi-Boschi sollevasse delle perplessità, ma le ha fatte esprimere a soggetti non ben identificati: «In tanti pensano che i cambiamenti garantiranno troppo potere al governo, rendendo più facile per il Primo Ministro decidere sull’elezione del Presidente della Repubblica, influenzando di fatto i nomi di coloro che siedono nella Corte Costituzionale». Due terzi dei giudici, infatti, sono scelti dal Presidente e dal parlamento. A dare voce ad ulteriori preoccupazioni anche «diversi avvocati costituzionalisti secondo cui, anche ammesso che Renzi possa fare buon uso dei nuovi poteri garantiti dalla riforma, questi potrebbero venire impiegati meno saggiamente in futuro». Un endorsment che comunque non ha evitato quella che per il The Guardian «Non è stata una sconfitta inaspettata, ma certamente è stata una sconfitta umiliante»

“Si” e “no”: scenari a confronto

Il Business Insider UK ha tratteggiato molteplici possibilità a lungo termine. La vittoria del sì, scrive, avrebbe significato «una riduzione del potere del Senato e il decentramento di poteri dalle regioni a Roma». Ben più problematica la vittoria del no: «tante le possibilità». Prima di tutto, il regalo all’opposizione e ai partiti populisti ed euroscettici, come la Lega Nord, ma soprattutto il Movimento 5 Stelle, che si ritrova ora favorito e ha ottime possibilità di andare al governo alle prossime elezioni. Al di là del risultato, la turnazione dei partiti al governo è un fatto naturale in ogni sistema democratico. Con la vittoria del no questo scenario è stato sicuramente favorito.

 

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