2013, l’anno in cui nulla accadde

bergrirenzMentre lo spumante sta per essere tirato fuori dal frigo e fuochi e fuocherelli sono pronti a illuminare il cielo del 31 dicembre, è tempo di recap su cosa è stato questo 2013.

In attesa delle classiche bombe Lavezzi, Cavani o Higuain, va registrato che il vero botto lo ha fatto il canto di quel Grillo che si è imposto con prepotenza alle elezioni di febbraio, scombinando i piani di un centro-sinistra che tra giaguari e Geloni già si dava per vittorioso e di un Berlusconi che tra letterine agli italiani e sedie spolverate era quasi riuscito nell’ennesima impresa elettorale.
Nel mentre, le tante cose successe e quel risultato finale che, col senno di poi, rievoca i medesimi fantasmi di 365 giorni or sono. Allora, era tutto pronto per andare alle urne: il chiacchiericcio generale auspicava l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, la creazione di un nuovo Governo con a capo un Premier stavolta scelto dal popolo sovrano e la riacquisizione della regolare democrazia parlamentare così come era stata pensata dai padri costituenti. E cosa è successo? Al Governo è festante “il rieccolo”, con un bel bis del groviglio di ex comunisti, ex democristiani, ex fascisti, ex socialisti, ex un po’ tutto ed ex tecnici tutti insieme appassionatamente, un’altra volta, per “salvare il Paese”. Al comando un Presidente del Consiglio scelto un po’ da Napolitano, un po’ da Berlusconi, un po’ da nonsochi, la cui legittimazione lascia quantomeno vagamente perplessi. L’inquilino del Colle è lo stesso di prima, con un anno in più sul groppone e che a 88 primavere è stato riconfermato per altri 7 anni di pura passione: bene, bravo, bis! Il Parlamento non solo non è tornato centrale (la maggior parte degli atti continuano a essere decreti legge), ma è anzi presieduto da gruppi e gruppetti i cui maggiori leader e capi spirituali ne sono fuori (Renzi, Grillo, Berlusconi, Salvini e Vendola). L’unico presente è invero quel desaparecido di Mario Monti, che da salvatore dell’Europa è giunto a vantare un discreto – e pur sempre migliorabile – 99% di assenze dalla vita parlamentare.

Di quelle riforme e leggine varie promesse in campagna elettorale neanche l’ombra: l’IMU pare destinata a cambiar nome ma rimanere presente nei nostri cuori, il Porcellum invece di essere macellato è diventato talmente di casa che ormai pare scodinzolare e fare le feste, le province sono pronte a festeggiare una nuova tornata elettorale, disoccupati ed esodati stanno aumentando in tal misura che si potrebbe pensare a una propria regione a statuto autonomo mentre gli omosessuali che vorranno regolarizzare le proprie posizioni civili potranno continuare il pellegrinaggio negli Stati Uniti, in Spagna o spostarsi (da quest’anno) in Francia, Inghilterra o Uruguay. Così, per variare.
Viene da provare a chiedersi, nuovamente: allora che è cambiato?
Nei fatti poco, sulla carta tanto: va sottolineato però lo scarso clamore che notizie tendenzialmente storiche possono generare sul morale di un popolo ormai troppo abituato a vivere una crisi che più che una parentesi pare ormai una quotidianità acquisita e inscindibile dalla propria esistenza. È così che sono passate in secondo piano novità di prim’ordine. La decadenza di Silvio Berlusconi dal Parlamento rimane un dato da segnare con il pennarello indelebile perché segna la fine di un’era che rischia addirittura di sprofondare nel grottesco quando, nel nuovo anno, passerà in giudicato anche il Processo Ruby (o il primo dei-).
In più, la vittoria schiacciante di Matteo Renzi alle primarie del Pd potrebbe segnare l’inequivocabile fine di personaggi dall’età politica non molto dissimile da quella del Cavaliere: per gli ex Margherita ma anche per gli ex democristiani dentro e fuori dalle istituzioni come Franco Marini, questa potrebbe realmente essere l’ultima tornata.

Ma questo 2013 è stato anche la stagione delle poltrone, o meglio dei sederi che le occupano: di quelli nuovi, di quelli che non le lasciano più e di quelli che vi si staccano senza troppo clamore. Ecco, a dire il vero, in questa ultima categoria vanno ricordate solo due personalità: Josefa Idem, silurata dal Governo – più che da se stessa – per poca chiarezza su presunte tasse sugli immobili non pagate e Ignazio Marino, che decise di dimettersi dalla sua attività parlamentare per poter affrontare con tranquillità la campagna elettorale alle comunali di Roma Capitale. A loro andrebbe aggiunto Benedetto XVI, ma trattandosi di Stato – e capo di Governo – straniero non vale. Della seconda razza fa invece parte chi, pur finito agli onori delle cronache per vicende poco trasparenti, ha deciso di non schiodarsi: ci si riferisce a Vendola con il caso Ilva, Alfano (e Bonino) con il caso Shalabayeva, Cancellieri per le telefonate con i Ligresti, Cota per lo scandalo rimborsi regionali ma anche lo stesso Berlusconi successivamente alla condanna definitiva in Cassazione.
Qualcuno penserà: tutto cambia affinché nulla cambi. Vero, probabile.
Eppure, il 2013 è un anno che ha portato via dalla scena politica due uomini “eterni”: Emilio Colombo e, soprattutto, Giulio Andreotti. E difatti, un anno di tali turbolenze e stravolgimenti non poteva che chiudersi in un modo inedito: al Divo, guardandosi intorno, sembrerà certo strano come, per la prima volta, il proprio silenzio non generi il consueto chiasso.

di Mauro Agatone

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