Al via la retrospettiva su Artemisia Gentileschi (Roma 1593- Napoli 1653) ospitata dal 30 novembre al 7 Maggio nelle splendide sale del Museo di Roma di Palazzo Braschi. Presenti all’inaugurazione il soprintendente capitolino ai Beni Culturali Claudio Parisi Presicce, la Presidente di Arthemisia Group Iole Siena e i tre curatori Nicola Spinosa, Francesca Baldassari e Judith Mann tutti impressionati dal ragguardevole numero di giornalisti presenti ad un evento unico perché è la prima volta in assoluto, e di sicuro non l’ultima, che il Museo di Roma apre i propri spazi per una mostra temporanea. Retrospettiva di assoluto livello imperniata su un’artista emblematica del suo tempo le cui vicende private ne hanno spesso offuscato il talento sopraffino non inserendola a pieno titolo nel contesto pittorico del seicento. Nonostante le violenze subite e le difficoltà economiche Artemisia riuscirà ad esprimersi ed affermarsi come donna in un universo esclusivamente maschile grazie alla sua passione e ad una tempra che le consentirà di vivere da persona libera. Una vita in perenne movimento spostandosi senza soluzione di continuità tra Roma, Firenze e Napoli, le tre città oggetto di questa esposizione che coprirà l’intero arco della sua vicenda artistica, in cui le sue opere sono state suddivise a livello temporale dai tre curatori in maniera accurata e selettiva. Lo scopo principale della mostra, afferma con veemenza l’ex soprintendente napoletano Nicola Spinosa, “è quello di approcciare l’arte di Artemisia calandola nei rapporti con gli artisti del suo tempo con i quali ebbe un notevole scambio ed influenze reciproche”, uno sguardo “nuovo e più maturo sulla sua produzione, meno legato alla sue biografia” come sostiene Judith Mann che ha curato la parte “romana” dell’esposizione.

Novantacinque le opere in rassegna e solo una trentina quelle di Artemisia a testimoniare il notevole lavoro di accurata ricerca e confronto tra artisti, condensato in tre anni di notevoli sforzi, come sostiene Iole Siena di Arthemisia, sostenuti per ottenere le tele da circa ottanta provenienze diverse. Il primo dei tre segmenti si focalizza sul periodo giovanile romano in cui la primogenita e un’unica femmina di quattro figli Artemisia è svezzata artisticamente dal suo padre Orazio. Nella sua bottega inizierà a confrontarsi col mondo dei caravaggeschi e ad affinare la sua capacità di ritrarre la figura umana in una Roma barocca in preda ad un grande fermento artistico e culturale. Degne di nota in questa prima parte giovanile secondo Judith Mann sono Susanna e i Vecchioni  del 1610 che segna il suo debutto artistico  dal quale già si evince la sua straordinaria capacità di raccontare un evento nella sua totalità unito all’audacia quasi blasfema di dipingere un nudo femminile con straordinaria naturalezza, e Giuditta e la fantesca Abra degli Uffizi  del 1613 di una maturità e potenza impressionanti data la giovane età. Dopo la violenza subita e il relativo processo la nostra sarà costretta a ripiegare a Firenze col suo novello e mai amato sposo Vincenzo Stiattesi inserendosi e pieno titolo nella corte raffinata di Cosimo II de’ Medici che avrà il torto di morire troppo giovane. Qui a Firenze entrerà in contatto con l’omonimo nipote del grande Buonarroti, con Galileo Galilei e con l’attivissimo Cristofano Allori  acquisendo committenze prestigiose e una posizione di rilievo testimoniata dall’ammissione come unica donna all’Accademia del Disegno nel 1616. Qui Artemisia crea un suo stile originale, staccato dall’apprendistato paterno, più elegante e raffinato con pennellate morbide e soluzioni decorative sontuose e sinuose in ogni dettaglio. Il giovane Buonarroti sarà fondamentale per la sua affermazione artistica mettendolo in contatto, da bravo mecenate, con la famiglia Corsi che le commissionerà la straordinaria Giuditta oggi a Capodimonte nella quale riuscirà ad esprimere in maniera sublime tutta la caravaggesca drammaticità della sua pittura. Anche l’amicizia con Galileo lascerà il segno nella vita di Artemisia come testimoniato dalla splendida Aurora del 1625, tela enorme e sentito omaggio al grande scienziato che ebbe un grande eco nell’immaginario pittorico fiorentino col quale la nostra ebbe un legame bivalente fatto di influenze reciproche.  Dopo otto anni lascia Firenze per motivi personali per tornare a Roma, ma il suo rientro e di ben altra portata dovuto alla spinta emotiva suscitata in lei dal suo amante Francesco Maria Maringhi. In questa fase di successo artistico e di benessere economico entra in contatto con l’eclettico Simon Vouet, un rapporto artistico pieno di ammirazione e una scoperta che contaminò il suo stile aprendole le porte della luce veneta che Artemisia indagò nel suo breve soggiorno veneziano in cui rimase folgorata dalle monumentali pale del Veronese.

Nel 1629 lascia Venezia per trasferirsi a Napoli su invito del Vicerè, duca di Alcalà, rimanendoci per oltre un ventennio. La Napoli del seicento brulica di artisti in gran fermento alla ricerca spasmodica di un revisione naturalistica del caravaggismo in cui pittori del calibro di Stanzione, Finoglio, Ribera, Fracanzano e gli ultimi lampi di Battistello Caracciolo sono le parti di mosaico complesso e variegato col quale la trentaseienne Artemisia entrerà in contatto recitando per intero la sua parte. Dopo le prime commissioni vicereali in cui le influenze di Stanzione e Vouet sono ancora tangibili così come quelle del classicismo di Domenichino all’opera nella decorazione della cappella del Tesoro di San Gennaro, sarà impegnata tra il 1635 e 1637 a dipingere tre tele per il duomo di Pozzuoli restaurato dopo l’eruzione del Vesuvio del 1631. Un lavoro corale condiviso con Ribera, Stanzione ed altri tutti all’opera contemporaneamente ciascuno col proprio stile. Artemisia coniugherà abilmente il naturalismo Riberiano unito allo sfavillio cromatico del Vouet rivolgendosi in questa fase ad una serie di aiuti, Bernardo Cavallino, Viviano Codazzi e Domenico Gargiulo, divenuti necessari per soddisfare l’enorme quantità di commesse. Nel 1638 lascia Napoli per Londra per un breve periodo per assistere suo padre malato per ritornarci dopo circa un anno, vivendo gli ultimi anni sommersa da richieste che la costringeranno a ricorrere, in alcuni casi, ad aiuti di modesta qualità senza mai però rinunciare agli impegni presi. Un’ulteriore testimonianza di talento e grande personalità per una donna che fu capace di imporsi in un ambiente, quello delle arti, prettamente maschile rientrando a pieno titolo nell’Olimpo dei grandi pittori del seicento come testimoniato da questa splendida mostra.

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