La sindrome di Antonio: la generazione sconfitta
Si è tenuta giovedì 17 settembre la premiere del film La sindrome di Antonio, scritto e diretto da Claudio Rossi Massimi, che vede l’ultima apparizione di Giorgio Albertazzi sul grande schermo.
Antonio Soris (Biagio Iacovelli) è un ventenne amante della mitologia greca e di Platone: convinto che per poter trovare conferma alle proprie teorie debba recarsi in Grecia. Così, nel settembre 1970, parte per raggiungere quei luoghi. Sullo sfondo della Grecia dei colonnelli e del sogno della rivoluzione, Antonio incontrerà una serie di personaggi che lo aiuteranno nella sua ricerca: Efisio (Moni Ovadia), col quale ragionerà del motivo del viaggio, Vassillis (Antonio Catania), il proprietario “impiccione” della locanda che lo ospiterà e Klingsor (Giorgio Albertazzi), il pittore muto che dipinge quadri aspettando la fine dei suoi giorni. Ma fra tutti, l’incontro più importante si rivela essere quello con Maria (Queralt Badalamenti), la bella ragazza greca che lo guiderà nella visita di quei luoghi meravigliosi, in un continuo gioco di corteggiamento.
Raccontata dalla voce narrante di Remo Girone, che interpreta l’amico del protagonista, Gino, La sindrome di Antonio è un film che parla della ricerca di sé, di quei mali esistenziali senza tempo, che affliggono l’uomo e che lo portano ad indagare “le sue ombre” e che quindi spingono il protagonista ad intraprendere questo viaggio. Mosso dunque da curiosità e passione, Antonio ben rappresenta il fervore del ’68 e quindi gli ideali, in nome dei quali quella generazione ha combattuto, mostrando però come alla fine ne sia uscita sconfitta: come si legge nelle note di regia “questo film è il racconto di una generazione che voleva cambiare il mondo ma che, alla fine, non è neanche riuscita a cambiare sé stessa”. Bella l’idea, che però sembra rimanere teorica: i dialoghi, talmente intrisi di citazioni erudite, di spiegazioni infinite sugli astri o sulla mitologia greca, risultano essere piuttosto finti e troppo legati al romanzo stesso (La sindrome di Antonio) da cui il film è tratto, penalizzando quindi la sceneggiatura. Pertanto lo spettatore sembra rimanere sospeso nell’attesa che accada quel qualcosa che dia la svolta, colpa forse della prima regia di Claudio Rossi Massimi. Va riconosciuto invece il lavoro scenografico di Arianna Braga e Valentina Savino, molto ben curato, così come quello di Mary Gehnyei per i costumi e di Mario Parruccini per la fotografia.
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