Facebook e Trump: quanto i social network hanno aiutato il tycoon
Una delle vittorie più discusse e inaspettate, quella di Donald Trump alle ultime elezioni USA, potrebbe essere (anche) colpa di Facebook e dei social network. Per quanto assurda questa affermazione possa suonare, soprattutto in un momento in cui si sovrappongono analisi lucide a commenti da bar, potrebbe esserci del vero. La liaison tra Facebook e Trump ha soprattutto a che vedere con l’ascesa incontrollata della funzione informativa del primo, che lo pone ormai, a livello di responsabilità, sullo stesso piano di ogni altra media company.
Facebook e Trump: come il social ha aiutato il tycoon
Facebook ha rivoluzionato il mondo dell’informazione. Non c’è dubbio che il modo di fare giornalismo ne sia stato stravolto: le notizie online esistono in virtù del clickbait, ovvero competono per attirare l’attenzione (e i click) in maniera spesso spudorata. Cosa ha a che fare questo con la vittoria del candidato repubblicano? Facebook favorisce, per la sua stessa configurazione, la diffusione delle cosiddette “bufale”, che durante queste elezioni USA hanno proliferato. Per mesi si sono viste notizie false e infamanti che hanno soprattutto colpito Hillary Clinton, unite, di contro, a numerosissimi articoli e sondaggi in cui analisti ed esperti la davano come candidato vincente. La miopia dei giornalisti potrebbe aver provocato negli elettori democratici meno motivati una sorta di pigrizia, persuadendoli dell’inutilità di sostenere un candidato la cui vittoria era data per certa. Ma che Facebook abbia influito su queste elezioni appare ovvio soprattutto se si considera che il 44% degli adulti negli Stati Uniti dichiara di informarsi esclusivamente tramite internet e social media. Una percentuale enorme, esposta a un flusso di notizie spesso non verificato o totalmente inventato allo scopo di generare un profitto economico grazie alla pubblicità. Certo, le notizie false avrebbero potuto danneggiare entrambi i candidati. Ma è probabile che la particolare propensione di Facebook a diffondere contenuti esagerati abbia favorito chi dei due ha giocato più sporco: Trump non ha risparmiato attacchi di ogni genere alla sua avversaria, che – vuoi perché impensabili per un candidato alla Presidenza USA – sono stati rilanciati online nei mesi scorsi da ogni mezzo d’informazione, autorevole e non, così come dai 7 milioni di follower del tycoon. Questo non vuol dire che la Clinton sia rimasta in silenzio, ma semplicemente che l’algoritmo di Facebook privilegia i contenuti più scorretti e scioccanti, perché quelli più cliccati e condivisi dagli utenti.
L’algoritmo incriminato
Nella diffusione dei contenuti, Facebook non distingue tra notizie verificate e “bufale”. Piuttosto,
quanto più un contenuto suscita interesse, tanto più sarà popolare nella newsfeed degli utenti. Questo perché l’algoritmo di Facebook cade vittima di uno degli assiomi della comunicazione: non importa il grado di verosimiglianza di una storia, se questa ci porta a rafforzare le nostre convinzioni (anche politiche) allora saremo più propensi a credere che sia vera e meno inclini a controllarne le fonti. In sostanza, vogliamo credere a quello che già sappiamo, o crediamo di sapere, sul mondo che ci circonda. Inoltre, è più facile che una notizia falsa abbia più possibilità di circolare. Come spiega l’ex manager di Facebook Bobby Goodlatte: «La sezione Notizie è ottimizzata per fare aumentare il coinvolgimento degli utenti e, come abbiamo potuto constatare durante queste ultime elezioni USA, le stronzate sono molto coinvolgenti». Facebook, in sostanza, amplifica la diffusione delle notizie false perché sono quelle che attirano di più la nostra attenzione e che condividiamo più spesso, pur sapendo che sono solo spazzatura. Il risultato è la creazione di una “bolla informativa” in cui ognuno vede costantemente confermate le proprie credenze sul mondo, distorcendo di conseguenza la sua idea su quella che è la realtà. L’algoritmo della discordia non è però nato insieme con Facebook, ma è stato introdotto, paradossalmente, per rispondere ad esigenze di imparzialità. Prima del suo sviluppo, ad occuparsi della scrematura delle news c’era una redazione in carne ed ossa, rimossa a seguito di accuse di eccessivo “progressismo” e scarsa rappresentanza di una componente più conservatrice al suo interno.
I rischi della società “post-fattuale”
Viviamo in quella che David Roberts ha denominato “società post-fattuale”, ovvero un mondo in cui siamo inclini a credere a notizie del tutto o parzialmente false. Certo le bufale sono sempre esistite, ma ciò che rende il nostro tempo più vulnerabile alla loro diffusione sono le capacità illimitate della rete unite alla naturale tendenza dell’essere umano ad «ignorare i fatti»; vale a dire: il nostro cervello è abbastanza pigro e tende ad trascurare quelle informazioni che potrebbero costringerlo a lavorare più duramente. Questo, insieme ad un crollo della fiducia nei media istituzionali, favorisce l’informazione fai-da-te, senza riguardi verso la ragionevolezza dei contenuti. Per tutta risposta alle polemiche, Mark Zuckerberg ha commentato che : «E’ folle pensare che la gente abbia votato in base a notizie false circolate su Facebook. Le persone votano in base alle loro vite reali». Negare che ci sia un problema, però, sarà sempre più difficile in futuro. Facebook non potrà mantenere per sempre la sua posizione fluida, e finché si rifiuterà di sviluppare un sistema più efficace per identificare ed impedire la diffusione di notizie inventate, allora il dubbio sulla sua trasparenza resterà legittimo. La creatura di Zuckerberg non può più ignorare il suo ruolo demiurgico sulla realtà che percepiamo, il che la rende uno strumento in tutto e per tutto identico a tutti gli altri media, anche in termini di responsabilità.
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Twitter autore: @JoelleVanDyne_