Brexit bloccata, Regno Unito nel caos
Brexit bloccata in Inghilterra. Dopo Italia e Grecia anche il Regno Unito sperimenta il gusto di non rispettare l’esito di un Referendum. La massima consultazione popolare che questa estate ha stabilito la volontà del popolo inglese di uscire dall’Europa viene messa duramente sotto attacco e fortemente delegittimata.
Forse che a noi spetti il ruolo di poco propizie Cassandre, visto che prima del voto avevamo paventato una vittoria dei leave, e che a breve distanza smorzammo la tensione con un ironico commento quale “tanto i Referendum non li rispetta nessuno”?
La Brexit bloccata sembra dare ragione a quel commento, ma sarebbe sbagliato un paragone tra i Referendum sull’acqua in Italia, quello per l’OXI in Grecia e la Brexit. Poiché il primo resta una palese negazione di democrazia imputabile alla classe politica in genere, il secondo una ben più grave negazione del diritto di sovranità di uno stato nazionale e il terzo…una serie di cappellate da manuale.
Sull’opportunità o meno del Referendum sulla Brexit, da un punto di vista di opportunità politica, sono in molti ad aver sottolineato l’avventatezza con cui tanto la classe politica quanto la popolazione inglese si siano approcciate all’elezione. Poco da criticare però, al popolo, quando il sovrano è un somaro.
Tuttavia, tornare sui propri passi adesso, e fare marcia indietro sulla Brexit invocando il fatto che un voto del genere non potesse essere vincolante ma solo consultivo, è ridicolo.
La classe politica britannica, i Tories più di tutti, hanno sfruttato l’arma del Referendum come uno strumento di campagna elettorale e opinionistica, teso anzitutto a celare la loro incapacità politica di risolvere a partire dal parlamento la questione del rapporto tra Regno Unito e Unione Europea, e di tenere a bada le pulsioni estreme dell’Ukip e della destra euroscettica.
Ma come un soldato avventato che da l’assalto con il fucile al contrario, Cameron e i “moderati” hanno offerto il grilletto in mano ai Farage e alle ventate populistiche, che naturalmente non ci hanno pensato due volte a premerlo fino in fondo. Un morto solo, David Cameron, ma un’intera genie politica sconfitta: i Tories. Del tutto impreparati a uno scenario simile, dunque doppiamente irresponsabili, non hanno saputo, e non lo hanno ancora reso noto, che rotta tenere per traghettare la nave britannica nelle tempestose acque del dopo Brexit.
Salvati in extremis dalla svolta esecutiva di Theresa May, la quale stabilì che il governo avrebbe attivato in Marzo l’art. 50 del trattato di Lisbona senza passare prima da un voto del parlamento – che, si sapeva e si sa, è in maggioranza favorevole al remain – vengono adesso ricacciati nel pieno della bufera dalla decisione dell’Alta Corte inglese, la quale ha “invalidato” il Referendum sostenendo che su una materia simile a essere sovrano è e deve essere il Parlamento.
Brexit bloccata uguale cortocircuito costituzionale e democratico. Nella sentenza sul ricorso presentato da Gina Miller (ora eroina e icona del gruppo di milionari che ha preparato il ricorso) contro la decisione del governo di procedere all’attivazione dell’art. 50 senza il parere del Parlamento, il giudice Lord Thomas of Cwmgiedd ha dichiarato che «La regola più fondamentale della costituzione del Regno Unito è che il parlamento è sovrano», specificando che la decisione del governo non rispetta la legge ratificata da Londra nel 1972 con l’ingresso nell’allora Cee.
Il Governo ha subito dichiarato di voler rispettare il voto popolare e che farà appello alla corte suprema. L’udienza è prevista per il 7 e 8 Dicembre, ma nel frattempo il terremoto costituzionale ha già aperto una faglia piuttosto profonda nella politica inglese. Aggravata dall’assenza di una Costituzione scritta, la crisi inglese è generata da una questione disarmante: è più nel suo diritto la corte a voler tenere a bada l’eccesso di potere dell’esecutivo invocando la sovranità del parlamento o l’esecutivo che dalla sua ha il voto del popolo e pretende di scavalcare il parlamento?
Una cosa è certa, dopo una simile dimostrazione di incapacità politica – forse unica per gravità negli ultimi 50 anni – la destra moderata inglese andrebbe spazzata via. Lo ha capito Jeremy Corbyn, che con la Brexit bloccata torna a incalzare la premier e lo fa nel modo più democratico, riponendo il fucile – onde evitare di prenderlo al contrario anche lui – e sostenendo al tempo stesso la legittimità del Referendum patatrac, di cui non si può non tener conto a questo punto come fosse spirato nel vento, e l’autorità del parlamento.
Resta una questione sulla quale è importante riflettere: da una parte all’altra del mondo (dalla Colombia alla Grecia) i Referendum sono diventati occasione di manipolazione dell’opinione pubblica e di teatro degli orrori della democrazia più che strumenti di sovranità popolare. Testimoni forse di un’involuzione democratica ormai definitiva, probabilmente figlia della globalizzazione e del dissesto politico e civile, questi strumenti dimostrano ogni giorno di più non tanto la loro inadeguatezza, quanto la crisi davvero troppo profonda delle democrazie occidentali e non solo, e svelano la farsa: che i Parlamenti non contano quasi più niente e tantomeno contano i popoli. Conta il potere.
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