Napolitano verso il presidenzialismo
Giorgio Napolitano con il discorso di fine anno blinda il governo Letta e attacca Forza Italia, ormai all’opposizione. Arriva alla fine la stoccata quasi ricattatoria alle forze politiche in campo: o si fanno le riforme o lui si dimette, parola di re Giorgio.
La chiusura di questo 2013, nelle parole del tradizionale discorso prenatalizio del Presidente della Repubblica, ha il sapore del rimbrotto nei confronti di dipendenti che hanno fatto un cattivo lavoro nell’azienda Italia. Il tono di Napolitano va dall’accusatorio al paternalistico, ovviamente a seconda dell’interlocutore a cui si rivolge. A ognuno la ramanzina che si merita. L’attacco va subito a coloro che, nelle istituzioni politiche e negli apparati dello Stato, con il loro malcostume, la corruzione e l’evasione fiscale acuiscono il risentimento di chi già vive un forte malessere economico e sociale. Se tra le righe sembra apparire il nome di Berlusconi, l’attacco diventa palese nei confronti di Forza Italia, rea di aver tradito le promesse ed essere passata all’opposizione, mettendo così a rischio le riforme costituzionali che devono restare la priorità: «Vorrei rivolgere uno schietto appello al partito che il 2 ottobre scorso si è staccato dalla maggioranza originaria guidata dal Presidente Letta, perché quella rottura non comporti l’abbandono del disegno di riforme costituzionali». Adesso che non è più solo il M5S il pericolo per l’esecutivo, ce n’è in maniera esplicita anche per i forzisti. Durissimo il commento al movimentismo agitato da Berlusconi in seguito alla sua condanna, la quale «non autorizza a evocare immaginari colpi di Stato e oscuri disegni cui non sarebbero state estranee le nostre più alte istituzioni di garanzia».
Ciò che a Napolitano preme proteggere è l’esecutivo Letta, nato con l’obiettivo di portare a termine riforme fondamentali, per il superamento del bicameralismo paritario e la revisione del Titolo V della Costituzione. Riforme costituzionali e poi la pluricitata e mai realizzata riforma elettorale. Queste le priorità e questo l’ordine di attuazione, ha decretato re Giorgio, perché cambiando l’ordine degli addendi il risultato potrebbe cambiare, e questo lo sa bene la nuova vera minaccia dell’esecutivo: Renzi. Sebbene sbandieri l’appoggio a Letta, chiaramente al neo segretario Pd farebbe comodo cavalcare l’onda e andare al voto prima che la sua popolarità cali.
Dettate le indicazioni, dopo 40 minuti di discorso del Presidente della Repubblica arriva la stoccata: la minaccia di dimissioni se non verranno portati a termine i dettami. I limiti di sostenibilità del suo incarico restano gli stessi dichiarati al momento del suo secondo insediamento. Le parole del Presidente suonano molto più imperative rispetto a quanto ci si aspettasse per un messaggio di auguri natalizi, tant’è che dalle fila di Forza Italia si levano i primi risentimenti, fino a parlare di impeachment, fin’ora parola d’ordine dei grillini. Brunetta è tra i più arrabbiati: «A me pare che al Quirinale si sia perso il senso della misura. Non può il Presidente della Repubblica essere di parte, non può essere di supporto a questo o quel governo su questa o quella politica, su questa o quella riforma costituzionale. Il ruolo del Presidente della Repubblica è quello di essere super partes». Ma se è vero che, quando un governo non si sapeva proprio come tirarlo fuori dai risultati elettorali, Napolitano ha messo su quest’esecutivo come fosse un figlio, ora che questo resta immobile, bloccato su ogni lato da forze uguali e contrarie, forse la sua intromissione potevamo prevederla già da tempo e forse, se nessuno muove una pedina o ribalta lo scacchiere, risulta anche necessaria.
di Francesca De Leonardis