Il 30% degli italiani è a rischio povertà

Dal 2011 le famiglie italiane, o residenti in Italia, risultano essere quelle più a rischio povertà rispetto a tutte le altre d’Europa, secondo quanto rivela l’indicatore della strategia Europa 2020. Il tasso è cresciuto di 1,7 punti rispetto al 2011 ed è di 5,1 punti più elevato rispetto a quello medio europeo (24,8%).

Europa 2020 è la strategia, di durata decennale, lanciata dall’Unione Europea nel 2010. Questa mira a far uscire gli Stati membri dalla crisi e a far loro sviluppare un modello di crescita economica più rapido, intelligente e sostenibile. La suddetta strategia ha cinque punti su cui lavorare: occupazione, istruzione, ricerca e innovazione, clima ed energia, integrazione sociale e riduzione della povertà. Ed è proprio a causa della scarsezza di questi ultimi due elementi che il 29,9% della popolazione italiana si trova in una situazione ad alto rischio di povertà. La causa primaria risulta essere ovviamente la bassa intensità di lavoro che, da anni ormai, sta affliggendo gli italiani di tutte le età; da qui subentrano numerosi disagi quali l’impossibilità di andare in ferie, di riscaldare adeguatamente le case e di permettersi un pasto proteico ogni due giorni. Mancando la possibilità di soddisfare anche solo uno di questi bisogni, l’indicatore di Europa 2020 rileva la situazione a rischio.
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Questo fenomeno, in Italia, colpisce prevalentemente determinate fasce della popolazione, come quelle che vivono nel Mezzogiorno, le quali presentano un tasso di rischio povertà ed esclusione sociale del 48% e hanno un reddito più basso del 27% rispetto al Nord Italia. Non va però fatta una distinzione solamente dal punto di vista geografico, bensì anche da quello delle caratteristiche di ogni singola famiglia; il rischio aumenta nelle famiglie con cinque o più componenti e quelle a monoreddito, dove il guadagno annuale è pari a 16.504 euro. Sono però i nuclei composti da anziani a soffrire maggiormente situazioni d’indigenza: nel 2011, con la loro pensione, sono arrivati solo a 13.299 euro annuali. Le differenze vanno anche constatate tra lavoratori autonomi e dipendenti e tra il sesso del principale percettore; i guadagni delle donne sono inferiori di circa un terzo rispetto a quelli degli uomini. Nonostante il reddito annuale dei lavoratori autonomi, in questi ultimi due anni, risulta essere leggermente più alto rispetto a quello dei dipendenti (31.216 euro vs 29.808) i rischi di oscillazione e vulnerabilità sono maggiori nel primo caso, soprattutto quando si tratta di affrontare spese impreviste. L’epoca dell’euro e della conseguente crisi economica sta facendo in modo che il ceto medio piccolo borghese cessi di esistere, considerato che il suo stipendio, nell’epoca attuale, gli permette a stento di arrivare a fine mese.

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