Stranger Things, recensione (senza spoiler) della serie culto di Netflix
Da quando Netflix è sbarcata in italia il mondo delle serie non è più lo stesso. Prima di tutto addio alle interminabili attese per scoprire come finisce la nostra serie preferita, addio ganci tra la fine di una puntata e l’altra e gli, ancor peggiori, cliffhanger tra stagioni diverse con attese spropositate per scoprire come si concluderà una scena e si, qualsiasi riferimento a The walking dead è puramente voluto.
Con Netflix la serie è già tutta lì, pronta per essere divorata. Ovviamente non mancano gli stratagemmi narrativi per creare attesa tra una puntata e l’altra, ma l’unico vero effetto è quello di spingere il malcapitato a dover staccare di sua volontà, magari a notte fonda, dopo maratone di svariate puntate.
In questo panorama rivoluzionario da qualche tempo è uscito un titolo che è subito diventato un cult. Parliamo ovviamente di Stranger Things, la produzione originale Netflix che già dalla sigla deliziosamente vintage strizza più di un occhio ad un certo pubblico nostalgico dei meravigliosi anni 80.
Iniziamo subito con il dire che la serie è a dir poco grandiosa. Siamo in un piccola cittadina dell’Indiana, ma più del dove, conta il quando. La serie è infatti ambientata negli anni 80, con tutti i riferimenti tecnologici e sociali appropriati. Potremo quindi ritrovare vecchi giochi come Dungeons & Dragons, walkman, musicassette a nastro, walkie Talkie e giocattoli di Star Wars, insomma tutti quegli oggetti con cui buona parte del target a cui è rivolta la serie è cresciuta. I protagonisti sono, almeno ad una prima lettura, quattro ragazzini avventurosi e nerd, un misto tra i Goonies e il protagonista di War Games, che loro malgrado si troveranno ad affrontare una situazione molto più grande di loro. Ho scritto in apparenza perché in realtà la serie non ha un vero protagonista, anzi, è un telefilm assolutamente corale con molte storie diverse che si intrecciano tra loro.
L’incipit della serie è abbastanza semplice, dopo una partita tra amici, tornando a casa su una di quelle vecchie bici con la torcia a dinamo, uno dei protagonisti viene inseguito da qualcosa di indefinito e sparisce nel nulla. Inizia da qui la ricerca del piccolo Will da parte dell’intera comunità, ognuno con i suoi mezzi e le sue convinzioni sull’accaduto. Da un lato la madre, una strepitosa Winona Ryder, donna separata, emotivamente distrutta ma tenace come nessun altro nel non voler dare il figlio per spacciato. Rasenterà la follia per trovare il figlio e mentre tutti l’abbandoneranno credendola pazza, troverà aiuto solamente dal burbero e disincantato sceriffo Hopper, interpretato da un David Harbour che in alcuni momenti ci ha ricordato il giovane Nicholson di Shining per alcune sue espressioni. A cercare Will ci sono ovviamente i suoi amici, il trio di cui sopra, che hanno perso il loro amico, ma troveranno un aiuto insperato da una bambina misteriosa con poteri alquanto singolari. In tutto questo non manca anche una sottotrama romantica, tra la sorella di uno dei protagonisti e la lotta per lei di un ragazzo ricco, bello e maledetto e il timido e impacciato fratello dello scomparso Will, anche loro fondamentali per lo sviluppo della trama principale.
Il fulcro centrale della serie è proprio questo. In questa pacifica città isolata nel suo nulla, dove la vita scorre lenta e sempre uguale a se stessa, sta succedendo qualcosa di strano e pericoloso, ma il pericolo è sfuggente, non si lascia osservare, sembra essere tutto intorno gli stessi protagonisti e questo crea un continuo senso di paura e angoscia. L’autorità è vista come nemica, come qualcosa che voglia coprire i suoi misfatti e lo stesso sceriffo sembra più voler prendere le distanze della sua divisa portando avanti la sua indagine personalmente e con metodi poco ortodossi.
Il ritmo aumenta verso il finire della serie, quando i giochi iniziano a essere più chiari e il finale ci regala quel senso di non compiuto, di cerchio che non si chiude che ci ha ricordato alcune puntate di x-files (altra serie a cui Stranger Things deve molto) nelle quali il finale era aperto e volutamente incompiuto.
Netflix ha già deciso di produrre una seconda stagione con gli stessi protagonisti. Da appassionato sono felice e spaventato allo stesso tempo di questa scelta. La serie mi ha dato l’idea di essere stata scritta per un’unica bellissima stagione, un lavoro compiuto, con un bel finale. Avrei immaginato una seconda stagione con un cast diverso, protagonisti diversi, in un altro luogo, invece il successo inaspettato della serie ha portato la produzione a puntare di nuovo sugli stessi attori e probabilmente ad indagare più a fondo una storia scritta benissimo. Chi vi scrive spera solo che per esigenze di ricavi e pubblico non si finisca per spremere troppo un’idea e una serie notevoli, magari trascinandola finché piace per poi farla morire miseramente con finali approssimativi appena passata di moda, come è già capitato troppe volte in passato.
L’appuntamento con la stagione due è per il 2017 su Netflix e per tutti coloro che si fossero persi la prima stagione possiamo solo consigliare di correre ai ripari al più presto, merita veramente.
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