Il film “Neruda” di Larraín: biopic di un sogno

Il film Neruda non è sulla figura politica, sul poeta, o, ancora, sull’uomo godereccio. Ogni aspetto sfuma nell’altro. D’altro canto, cercare di contenere in una pellicola di quasi due ore una personalità così straripante sarebbe stato troppo complesso e, probabilmente, impossibile. È altrettanto difficile definire a quale genere cinematografico appartenga il sesto film di Pablo Larraín che offre suggestioni tipiche dei road movie, delle commedie noir anni cinquanta, dei gialli e che, in certe scene, svela un’eco western.

Nel 1948 la Guerra Fredda raggiunge anche il Cile, dove il Senatore Pablo Neruda (Luis Gnecco) accusa il governo di tradire il Partito Comunista. Per questo il Prefetto della Polizia Oscar Peluchonneau (Gael García Bernal) viene incaricato di arrestarlo. Inizia un inseguimento, fatto di indizi lasciati dietro di sé e continue ispirazioni per il Canto General, durante il quale il poeta avrà sempre al suo fianco la moglie Delia del Carril (Mercedes Morán) e che porterà i due “nemici” a sfiorarsi sulla Cordigliera delle Ande, al confine del mondo.

Eppure il cuore della pellicola non è il gioco del “gatto e topo”; e in effetti manca quella suspense “da thriller” altrimenti necessaria. Il film Neruda, nelle sale dal 13 ottobre, è un viaggio in cui, ben più importante del punto d’arrivo – che resta un’aspirazione piuttosto che una concretizzazione – è il percorso stesso la destinazione. Il politico e poeta da una parte e il poliziotto Peluchonneau dall’altra si creano a vicenda: il primo intravede in questa avventura la possibilità di eternizzarsi come simbolo di libertà, mentre il secondo spera di poter reinventare sé stesso incrociando il proprio destino con uno spirito così visionario.

film "Neruda"

La chiave del suo lavoro, afferma il regista Larraín, è stato il discorso di Neruda alla premiazione del Nobel, nel quale ammise di non sapere se quel periodo di latitanza fu davvero vissuto o invece scritto – o addirittura sognato –. Infatti, grazie anche ad una fotografia suggestiva che rifugge un’eccessiva luminosità, Neruda ha la forza evocativa di un sogno alle prime luci dell’alba, generato da un universo, da un’essenza nerudiana che in Cile partecipa di tutte le cose: dell’acqua, della terra, delle piante. Pablo Larraín lo dice apertamente: “Neruda ha dato la mappa del Cile ed io me lo porto addosso: nei capelli, nel corpo, nel sudore, nel sangue”.

Il poeta non è il vero personaggio principale, ma nemmeno il ruolo interpretato da Bernal lo è. Il protagonista del film Neruda è in realtà la comunicazione spirituale che si instaura tra i due in una corrispondenza vaga e trasognata espressa fuoricampo da Peluchonneau.  La voce narrante del Prefetto di Polizia assume allora uno statuto proprio che, insieme ad una forma che rifugge la verosimiglianza, ottiene un effetto di straniamento nello spettatore. E non è certo una novità nello stile registico di Lorraín per il quale il “cinema è soprattutto atmosfera, tono e visceralità” e che questa volta ottiene una candidatura all’ Oscar 2017 come miglior film straniero.

Neruda è a tutti gli effetti un walking dream fatto di silenzi, attimi, respiri e dislocazioni che sicuramente delude chi si aspetta una biopic, ma che commuove chi lo penetra senza sovrastrutture, riconoscendovi la forza di un’invocazione a Neruda e alla sua ispirazione totale. Si tratta, in fin dei conti, di un’opera aperta che il regista ha voluto offrire agli spettatori, poiché “quello che a me piace” dichiara Larraín “è la dialettica che si crea tra il pubblico e lo schermo. Come succede nel sesso quando è fatto bene”.

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@letiziadelpizzo