One More Time With Feeling, scritto sul corpo di Nick Cave
La memoria è lo specchio in cui noi rivediamo gli assenti, direbbe Joseph Joubert. One More Time With Feeling è l’immagine riflessa di Nick Cave in cui è possibile ascoltare il tormento di un’anima nel tortuoso percorso verso la luce, affermiamo noi.
Era il 14 luglio scorso quando un adolescente, precipitando da oltre 18 metri da una scogliera a Brighton, perdeva la vita. Aveva quindici anni e il suo nome era Arthur, figlio del celebre cantautore australiano Nick Cave. Se è vero che ad ogni trauma corrisponde sempre una cicatrice, è altrettanto vero che quando ad esserne vittima è Nick Cave, la ferita causata dallo shock emotivo si traduce in poesia, ovvero in One More Time With Feeling.“Quando incontro le persone, mi dicono lui continua a vivere dentro il tuo cuore. Ma non è vero: io lo conservo nel mio cuore, ma lui non vive più. È per questo che vorrei riuscire a rendere questo caos semplice, banale. Vorrei che diventasse come una cartolina, con su scritto vive nel mio cuore. Vorrei che fosse così”. Nick Cave è composto, indossa la solita eleganza che lo contraddistingue da tempo immemore, ma qualcosa è cambiato. È il suo volto ad essere cambiato, quelle occhiaie che un anno prima non c’erano, ora circondano totalmente i suoi occhi. Occhi che comunicano attraverso lo sguardo, presenza e assenza allo stesso tempo ma velati da una consapevole inconsapevolezza.
Diretto da Andrew Dominik, quando le riprese di One More Time With Feeling cominciarono (e a pochi mesi dalla scomparsa di Arthur), Nick Cave aveva avuto appena il tempo di subire e di vivere il colpo della perdita, il lutto nella totale dimensione del privato. Ma a febbraio di questo stesso anno, una telefonata accompagnata da una richiesta del tutto inaspettata, sorprende il regista: Nick si rende conto che con la promozione del nuovo album avrebbe dovuto, prima o poi, parlare con la stampa e soprattutto affrontare le domande sul figlio Arthur, così decide di girare questo documentario con una persona di fiducia per “aprirsi un’unica volta e poi tornare alla sicurezza dei suoi affetti”, ha dichiarato Andrew Dominik. L’occhio di Dominik cattura, con l’ausilio di una cinepresa in 3D, Nick Cave and The Bad Seeds nei momenti della registrazione del disco dal titolo Skeleton Tree. I fotogrammi si susseguono, in uno strepitoso bianco e nero dal dietro le quinte di una performance puramente artistica per approdare a immagini di un teatro che potremmo definire dell’intimo: un Nick Cave nudo, spogliato dalle maschere della protezione, circondato dalla moglie Susie Bick e dal figlio Earl (gemello di Arthur). In One More Time With Feeling, Susie è una figura che domina prepotentemente e silenziosamente la scena del documentario: è un fantasma, una voce del coro della tragedia greca. Sebbene la si vede spesso di schiena, intenta a lavorare sui suoi abiti o di profilo, quando la camera le inquadra gli occhi, veniamo rapiti da una senso di estraniamento e di dolore: il suo sguardo sembra esser stato partorito dalla penna di Nick Cave. L’argomento della morte non è mai trattato in modo esplicito, ma con il modus operandi tipico dei poeti: abbandonare la narrazione e addentrarsi nel territorio dell’introspezione, provare a capire chi eravamo e chi diventiamo dopo un avvenimento. “La maggior parte di noi non vuole cambiare veramente. In effetti perché dovremmo? Ciò che inseguiamo è una sorta di variazione dal modello originale. Proviamo sempre ad essere noi stessi, versioni migliori di noi stessi. O almeno così ci auguriamo. Ma cosa succede quando un evento è così catastrofico da cambiarci completamente? Ci trasformiamo in persone sconosciute. Così quando ci guardiamo allo specchio, riconosciamo la persona che eravamo. Ma ora dentro la nostra pelle vive una persona diversa”, riflette Nick. Esiste soltanto un momento in cui i coniugi Cave, con una complicità che supera la dimensione del verbo e dello spazio, approcciano all’argomento della perdita del figlio in modo diretto mostrando un quadro ritrovato causalmente in cantina: una scogliera, un mulino, una cornice di colore nero. Il disegno era di Arthur, quasi una profezia di ciò che sarebbe stato. Se si volesse intraprendere la missione impossibile di sintetizzare One More Time With Feeling, lavoro che non è un semplice documentario ma un viaggio mistico fra le tenebre che avvolgono l’anima di Nick Cave, una frase di Nicolás Gómez Dávila potrebbe venirci in soccorso: “la poesia lirica sopravvive sola, perché il cuore umano è l’unico recesso del mondo che la ragione non osa invadere”.
Nelle sale italiane esclusivamente il 27 e il 28 settembre, One More Time With Feeling non è un tentativo di esorcizzare la morte o volontà di catarsi. È piuttosto avviare un nuovo percorso e discorso di conoscenza di sé, all’interno di un io che si rivela essere un campo totalmente inesplorato e vergine.
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