Riforma costituzionale: Governo regionale e Consulta
Terzultimo appuntamento con lo speciale #RiCostituente (pillole di riforma costituzionale). Qui, l’analisi degli ultimi quattro articoli modificati dalla riforma Renzi-Boschi, come sempre allo specchio dell’attuale testo costituzionale. Informatevi insieme a noi, diteci cosa ne pensate in vista del prossimo referendum.
I TEMI: artt. 122 e 126 (incompatibilità, ineleggibilità, scioglimento e rimozione degli organi di Governo regionale); artt. 134 e 135 (funzioni ed elezione della Corte Costituzionale).
L’ANALISI: Iniziamo dall’art. 122 Cost., norma costituzionale che disciplina i casi di incompatibilità ed ineleggibilità di Presidente e Giunta Regionale. La nuova riforma costituzionale interviene pochissimo su questo articolo, modificandone solo il primo comma e per lo più in maniera additiva ovvero aggiungendo una disposizione. Si legge all’attuale comma 1, art. 122 Cost.: «Il sistema d’elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi». Trattasi di una semplicissima disciplina di rinvio costituzionale a legge ordinaria e regionale nella regolamentazione delle suddette fattispecie. Cosa aggiunge la nuova riforma, quindi? Un’ulteriore rinvio a legge ordinaria (del Parlamento) nella disciplina della «durata degli organi elettivi e i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione. La legge della Repubblica stabilisce altresì i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza». L’addizione operata dalla riforma è da considerarsi indubbiamente nota positiva della stessa, infatti come si può notare la norma introduce costituzionalmente un tetto di spesa agli emolumenti di Presidente, Giunta e Consiglieri regionali. Tetto di spesa che varrà anche per i c.d. consiglieri-senatori nella nuova “Camera dei 100”, anche se è bene precisare che questi godranno comunque di un “rimborso spese”. In ultimo torna il riferimento alla parità di genere, già presente all’art. 55, con l’unica differenza che in questo caso si riferisce nello specifico al Governo regionale. L’equilibrio di genere si può considerare un pallino dei neo-riformatori tanto da riapparire più volte nel nuovo dettato costituzionale. A torto o ragione, il principio di uguaglianza non è una novità 2.0, ma già presente nel nostro ordinamento dal 1948, all’ art.3 della Costituzione.
Anche con la modifica dell’art. 126 non si riscontrano cambiamenti epocali. L’articolo in questione disciplina i casi di scioglimento del Consiglio regionale e rimozione del Presidente di Giunta, infatti attualmente recita: «Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica». La nuova riforma si limita ad affidare quest’ultima funzione consultiva non più “ad una Commissione di deputati e senatori”, bensì al “Senato della Repubblica”. La modifica apportata ha perfettamente senso alla luce dello spirito del neo dettato costituzionale, che fa del Senato una “Camera delle autonomie” con funzioni di raccordo Stato-Regioni. Si è già parlato delle distorsioni che il nuovo Senato potrebbe comportare, perciò rinviamo al precedente articolo per l’analisi di dettaglio (QUI).
L’articolo 134 invece disciplina le funzioni della Corte Costituzionale, la quale giudica:
- sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
- sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;
- sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione.
La riforma anche in questo caso compie una modifica additiva alla Carta aggiungendo un’ulteriore competenza della Corte, quella di giudicare «della legittimità costituzionale delle leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del senato della Repubblica ai sensi dell’articolo 73, secondo comma». Si tratta del controllo preventivo da parte della Corte Costituzionale sulle leggi elettorali, valutandone la loro compatibilità con la Carta. La storia insegna, infatti, come l’incostituzionalità del Porcellum abbia continuato a viaggiare indisturbata per più di sette anni prima che la Consulta si esprimesse in merito.
L’ultimo confronto verte sull’art. 135 Cost. ovvero l’elezione dei giudici della Corte costituzionale. Anche in questo caso la riforma modifica solo il primo comma della norma, che oggi ci dice: «La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative». Mentre nel nuovo testo sarà: «La Corte costituzionale è composta da quindici giudici, dei quali un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica». Quali sono le implicazioni di questo cambiamento? La riforma dà al Senato (composto da 100 senatori) il potere di eleggere due giudici della Corte, mentre alla Camera (composta da 630 membri) il potere di eleggerne tre. C’è chi nota come tale squilibrio numerico cozza con il principio di proporzionalità, nonché paventa il rischio di far sorgere logiche corporative in seno alla Consulta, tanto da minarne l’obiettività.
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