Ambasciatore USA per il Sì al referendum. E’ caso politico
L’opinione dell’ ambasciatore USA per il Sì al referendum è diventata subito un caso. John Phillips non usa mezzi termini e dichiara che ci sarebbero “conseguenze negative sugli investimenti”.
Le parole dell’ambasciatore USA per il Sì al referendum sono state pronunciate in occasione di un incontro sulle relazioni transatlantiche presso l’Istituto di studi americani a Roma. Phillips continua dicendo che certamente “il referendum è una decisione italiana“, ma il paese “deve garantire stabilità politica. Sessantatré governi in 63 anni non danno garanzia”.
L’esternazione del diplomatico americano ha provocato un vero e proprio terremoto politico per cui le reazioni non si sono fatte attendere. Pierluigi Bersani, ex segretario PD, si risente: “per chi ci prendono?”; il vicepresidente della Camera, il pentastellato Luigi Di Maio, fa indignare il Pd quando paragona il capo del Governo a Pinochet (facendo tra l’altro uno scivolone quando confonde il Cile con il Venezuela) e subito ribatte Emanuele Fiano del Partito Democratico: “Parole meschine, strumentalizza le vittime della dittatura cilena”.
Comunque il clamore è quasi unanimemente contro l’invadenza dell’ambasciatore USA per il Sì al referendum. Salvini: “signor ambasciatore Usa, si faccia gli affari suoi e non interferisca, come troppe volte è già accaduto in passato” e aggiunge “spero che a novembre vinca Trump che ha già garantito che si occuperà delle questioni di casa sua”. E ancora Brunetta che cita la stessa Costituzione: “ricordiamo all’ambasciatore americano Phillips l’art. 1 della nostra Costituzione: la sovranità appartiene al popolo… italiano”. Dice la sua anche Giorgia Meloni: “Renzi pretenda le scuse dall’ambasciatore”. Insomma, il panorama politico italiano non è mai sembrato così d’accordo.
Ma le parole di John Phillips non sono una voce isolata. Dopo di lui si esprime anche la Fitch con le medesime preoccupazioni. Edward Parker, il manager rating sovrani per Europa e Medio Oriente della società, da Londra fa sapere che “se prevalesse il No, lo vedremmo come uno shock negativo per l’economia e il merito di credito italiano“.
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