Le ragioni del dietrofront di Trump sugli immigrati
Donald Trump ci ripensa sulla questione immigrati. Voltafaccia sincero o calcolo politico? I toni meno accesi usati dal magnate statunitense negli ultimi giorni non sono sfuggiti alla stampa e agli analisti politici; ma secondo il Wall Street Journal e il Christian Science Monitor si tratterebbe di un dietrofront dovuto più alle difficoltà che si stanno presentando al tycoon lungo il percorso che porterà alle elezioni dell’8 novembre, che ad un pentimento sincero. Il primo pensiero è che il candidato alle presidenziali 2016 stia cercando di acquisire consensi proprio tra le comunità a cui ha rivolto i suoi insulti per tutta la durata delle primarie. Certo è che il ricordo delle dichiarazioni di Trump sugli immigrati – come ad esempio la proposta di erigere un muro tra USA e Messico – è ancora troppo vivo negli elettori americani perché un tale obiettivo possa avere anche solo un vago senso. Infatti, secondo i due quotidiani americani, il motivo che ha spinto Trump ad ammorbidire i toni sull’immigrazione è un altro. Ma soprattutto è un altro il target: non le minoranze etniche che vivono in America, ma piuttosto quei bianchi appartenenti alla classe medio-alta che inorridiscono di fronte alle farneticazioni di Trump sul deportare gli immigrati irregolari.
Questa è la fascia di elettorato con cui Donald Trump ha più problemi. In numeri, i suoi consensi si aggirano attorno al 50-52%, una percentuale ben lontana da quel 65% che gli servirebbe a garantirsi la vittoria. Ben altro è il discorso riguardante la working class americana disillusa dal caro vecchio politically correct, che è la porzione più ampia a sostenere il miliardario. Il voltafaccia di Trump sugli immigrati schiaccia così il candidato repubblicano in un paradosso politico da cui sarà difficile tirarsi fuori: per vincere bisogna convincere i bianchi di istruzione medio alta, ma per farlo occorre abbandonare quei toni accesi su cui Trump ha costruito la sua intera campagna elettorale, e che costituiscono, in un certo senso, il principale motivo di credibilità e popolarità tra gli elettori più poveri e più arrabbiati.
Il fatto che Trump si sia esposto troppo, insomma, non lo ripaga abbastanza: a nulla vale che il razzismo sia un problema sempre più diffuso negli Stati Uniti. Ultimo a dare il suo illustre contributo alla questione è stato il governatore del Maine Paul LaPage, che intervenuto in conferenza stampa per difendersi da accuse di xenofobia è addirittura riuscito a peggiorare la sua situazione: “Il nemico al momento sono le persone di colore e le persone di origine ispaniche. E quando si è in guerra e il nemico è il rosso e tu sei blu allora tu spari ai rossi”. Certo è che tali dichiarazioni assomigliano più a quelle che Eco chiamava idiozie da bar, farneticamenti da ubriachi, che ad un discorso del governatore del Maine. L’ultima grande contraddizione statunitense mostrerà al mondo quale dei due Paesi prevarrà: se quello spaventato, xenofobo e deluso dalla politica di Obama o quello ancora aggrappato al politicamente corretto vecchia scuola, da cui Hillary Clinton può trarre vantaggio per costruire una campagna vincente.
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