Motown: la blackmusic e la magia degli anni ’60
Una piccola sala, vecchi nastri di registrazione, un pavimento consumato dai ripetuti passaggi della sedia d’ufficio, odore d’antico: benvenuti nel tempio sacro della Motown. Se si visita la città di Detroit tappa obbligatoria è il Motown Museum: di qui sono passati artisti come i Jackson 5, Stevie Wonder, The Temptations, Marvin Gaye, Diana Ross & The Supremes…
Derivando il nome dall’appellativo allora utilizzato per Detroit per la fiorente industria automobilistica, quale Motor City, da cui Motor Town, la Motown fu fondata il 12 gennaio 1959 da Berry Gordy, un giovane cantautore americano che ebbe l’idea di trasformare la sua casa, o meglio il suo garage, in uno studio di registrazione; mentre la cucina divenne una sala mixer. Fu così che, mantenendo il secondo piano come appartamento, dove è possibile ammirare ancora i mobili originali di Gordy, il piano sottostante fu trasformato in una seconda casa per i diversi artisti che qui trascorrevano anche giornate intere tra registrazioni e ping pong o baseball: insomma, una sorta di piccolo college.
Al 1960 risale la prima hit di successo della Motown Records, Money (That’s What I Want) di Barrett Strong, che raggiunse il secondo posto della Billboard R&B Chart. Gli anni seguenti furono anni di grandi successi: basti pensare che nella top 10 Billboard’s Hot 100 chart del 1968 ben cinque brani appartenevano ad artisti provenienti dalla Motown: “potrei creare un luogo in cui un ragazzino entra da una porta come uno sconosciuto ed esce da un’altra porta come una star” dichiarò lo stesso Gordy. Nello stesso anno si decise di spostare la sede in un edificio più grande, nel centro di Detroit.
Tuttavia Motown rimane un pezzo di storia: vedere il pianoforte suonato da Paul McCartney o il distributore di merendine dove Stevie Wonder sceglieva la sua solita barretta al cioccolato e cantare My girl nel famoso Studio A, mette i brividi; per non parlare poi dei costumi originali dei Jackson 5 o del famoso guanto di Michael Jackson. Infatti solo questa parte può dare alla Motown l’appellativo di museo: non ci sono eccessi, tutto è ridotto all’essenziale e forse proprio la semplicità ci permette di cogliere la stessa magica atmosfera che negli anni ’60 animava questo fantastico luogo.
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Twitter: @ludovicapal