La morte di Hande Kader riaccende il dramma dei diritti in Turchia
Lunghi capelli, lo sguardo provato ma deciso, la ferma volontà di manifestare a gran voce i propri diritti in un paese dove a scendere in piazza talvolta si rischia la vita. Il volto di Hande Kader è diventato quello della resistenza: agli idranti della polizia, al governo che sempre più reprime il diritto a manifestare pacificamente, ai pregiudizi di una Turchia sospesa tra modernità e conservatorismo. Il suo corpo, diventato il simbolo dell’attivismo LGBT dopo un famoso scatto che la ritrae durante gli scontri con la polizia, è stato ritrovato brutalmente mutilato e carbonizzato a Zekeriyaky, un distretto alla periferia di Istanbul, lo scorso 8 agosto. Il nome di Hande Kader, che da tempo si batteva contro il rifiuto del governo locale ad autorizzare il Gay Pride, entra così tristemente nella lunga lista di persone che nella Turchia di oggi pagano per le proprie idee, per la propria identità, per il proprio impegno. Hande, soli 22 anni, faceva la prostituta; è salita sulla macchina di un cliente e non ha fatto più ritorno a casa. Il suo corpo martoriato è stato rinvenuto nello stesso luogo dove fu trovato il cadavere di un rifugiato siriano omosessuale appena quattro giorni prima.
In Turchia l’omosessualità è ancora lontana dall’essere accettata. Anche riguardo i diritti LGBT il paese si colloca in un limbo incerto: lontano dall’Europa e più propenso a considerare l’omosessualità come un tabù, sebbene la legge di fatto non la vieti. Eppure, secondo quanto emerso da una ricerca del centro Pew, l’80% della popolazione la considera ancora moralmente inaccettabile. L’industria culturale turca e i media tendono a ignorare il tema, o, nel peggiore dei casi, discriminano la comunità gay presentandola sotto una luce totalmente negativa. È il caso delle fiction televisive, ma anche dei telegiornali. Un fatto che non stupisce, se si pensa che i media subiscono da tempo la pesante ingerenza del governo filo-conservatore di Erdogan. Su questa scia, spesso manifestazioni LGBT vengono impedite in base a motivazioni inconsistenti. Come nel caso del Gay Pride dello scorso 26 giugno, vietato per “preservare la sicurezza e l’ordine pubblico”.
Depenalizzata nel 1858, l’omosessualità in Turchia è legale fin dall’Impero Ottomano, ben prima della nascita della Repubblica nel 1922. Ma nella quotidianità le cose sono ben più complesse. Sebbene prima degli ultimi gravi fatti politici il cammino verso l’UE avesse aperto qualche spiraglio per il dibattito sui diritti civili, le discriminazioni sono da sempre all’ordine del giorno: manifestare la propria omosessualità in pubblico è impensabile; una relazione gay è tollerata solamente se vissuta in segreto, tra le mura di casa. Un paradigma difficile da sradicare, ma inaccettabile per Hande Kader, che del movimento LGBT turco è stata prima un’attivista e poi un simbolo. Forse è stato troppo per i suoi assassini, che prima di abbandonarla sul ciglio della strada si sono assicurati di renderla irriconoscibile; come per cancellare la volontà di lottare per quei diritti umani essenziali, insieme al suo volto. La sua storia probabilmente svanirà senza scalpore né verità, ingrossando le fila dei soprusi contro i diversi e i dissidenti in un Paese che è sempre più feroce e sempre meno inclusivo con i suoi stessi cittadini.
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