Riforma costituzionale: il Presidente della Repubblica
Torna lo speciale RiCostituente sulla riforma costituzionale, l’analisi comparata tra il vecchio e il nuovo che avanza, tra l’attuale e la “nuova” Costituzione così com’è stata partorita dalla riforma Boschi. Oggi analizzeremo gli articoli 83-85-86-88 della Costituzione, in pratica le modifiche apportate a tutto il Titolo II della Carta riguardanti l’elezione, i compiti e le prerogative del Presidente della Repubblica.
Riforma costituzionale: il Presidente della Repubblica
I TEMI: artt. 83-85-86-88 della Costituzione, Titolo II – Il Presidente della Repubblica
L’ANALISI: Iniziamo dall’articolo 83 della Carta, oggi composto da 3 commi e indicante le modalità d’elezione della più alta carica dello Stato ovvero il Presidente della Repubblica: «1. Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri . 2. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. 3. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea . Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta ». Mentre il primo comma rimarrà identico, la riforma cambia il secondo e terzo comma, sostituendoli con una sola norma, la quale recita: «L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea . Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti». Per comprendere la logica di questo articolo e la sua importanza è necessario fare un passo indietro, un breve cenno storico alle sue implicazioni. Il Presidente della Repubblica è la più alta carica dello Stato, nel nostro ordinamento concepito come un primus inter pares (primo tra i pari) ovvero una figura terza e di garanzia che trascende i diversi sentimenti politici. Proprio per quest’esigenza di terzietà i padri costituenti hanno predisposto per l’elezione del Capo dello Stato maggioranze più alte (leggiamo: maggioranza dei 2/3 per i primi tre scrutini, maggioranza assoluta per le successive tornate di voto). Questo al fine di garantire un più ampio consenso possibile del Parlamento attorno ad una figura di tale rilievo. La riforma cambia queste “soglie di voto” e le innalza. Ad una prima occhiata la si potrebbe considerare una cosa positiva ma per dare un giudizio più lucido va inserito un’ulteriore elemento nella nostra analisi: l’Italicum, la nuova legge elettorale. Più volte nel nostro speciale si è parlato del “combinato disposto legge elettorale e nuova riforma costituzionale”, cerchiamo di facilitare questo concetto.
La legge elettorale detta le regole del gioco, chi in base ai voti ottenuti alle elezioni siederà in Parlamento. L’Italicum ci dice che se un partito ottiene il 40% dei voti, ottiene il 54% dei seggi in Parlamento, qualora invece il 40% dei voti non fosse ottenuto da nessun partito, i 2 più votati andranno al ballottaggio e chi vince otterrà il 54% dei seggi in Parlamento. Ora immaginiamoci una società utopistica, dove il partito X ottiene 100 voti e quindi 10 poltrone in Parlamento, il parito Y invece ne ottiene 50 e quindi 5 poltrone in Parlamento, ecc ecc. Per il partito X siederà in Parlamento il Signor Rossi, forte dei suoi 20 voti ottenuti. Ogni giorno il Signor Rossi chiamerà i suoi elettori e in quanto loro rappresentante esporrà le loro ragioni in Parlamento. Se però il partito X che ha ottenuto 100 voti non ottiene 10 “sedie” in Parlamento ma il doppio o il triplo, accanto al Signor Rossi legittimamente eletto siederanno il Signor Verdi, Gialli, ecc.. che magari quei 20 voti non li hanno ottenuti . Questi ultimi solo grazie al premio di maggioranza siederanno in Parlamento senza rappresentare nessuno, e solo per il fatto di appartenere al partito X (partito vincente al ballottaggio). Questo cosa c’entra con il Presidente della Repubblica? C’entra, perché con la nuova riforma e il premio di maggioranza il Parlamento si comporrà di persone che non siedono lì grazie ai voti ottenuti, ma grazie al “premio” che arrotonda le percentuali di voto per eccesso, dando più seggi rispetto ai voti ottenuti. Queste persone avranno il monopolio dell’elezione del Presidente della Repubblica che rischierà di non essere più organo terzo e imparziale ma esponente del partito di maggioranza.
Passiamo all’art.85, che per come è oggi recita: «1. Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. 2. Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. 3. Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica». Anche qui a cambiare sono il secondo e terzo comma, leggiamo nella riforma: «Trenta giorni prima che scada il termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Quando il Presidente della Camera esercita le funzioni del Presidente della Repubblica nel caso in cui questi non possa adempiere, il Presidente del Senato convoca e presiede il Parlamento in seduta comune. Se la Camera dei deputati è sciolta, o manca meno di tre mesi alla sua cessazione, l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione della Camera nuova. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica». Qual è la sostanziale differenza? La centralità che questa riforma dà alla Camera dei deputati. Come prima la convocazione del Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica rimane affidata al Presidente della Camera, specificando che qualora questi non fosse in grado di adempiere a tale funzione se ne occuperebbe il Presidente del Senato. Più importante però il terzo comma, dove si specifica che con la riforma il Capo dello Stato avrà facoltà di sciogliere non entrambe le Camere ma solo quella dei deputati.
L’art. 86 della Costituzione, invece, si occupa dei casi in cui il Presidente della Repubblica non sia in grado di svolgere il proprio ruolo e dei suoi eventuali sostituti. Non vi riproponiamo il testo, vi basti sapere che mentre oggi in caso di impossibilità del Capo dello Stato questi viene sostituito dal Presidente del Senato, con la riforma sarà sostituito dal Presidente della Camera dei deputati. Ulteriore cambiamento poi al secondo comma dell’art.85, dove si dice che in caso di morte o dimissioni del Presidente della Repubblica entro quindici giorni vanno indette nuove elezioni dello stesso. Chi indice oggi tali elezioni? Il Presidente della Camera, ma con la riforma lo farà il Presidente del Senato. In definitiva con la riforma si invertono i ruoli, la seconda carica dello Stato sarà il Presidente della Camera, la terza quello del Senato.
Breve accenno all’art. 87 che di fatto rimane invariato, la riforma aggiunge solo una nuova funzione del Presidente della Repubblica: «Ratifica i trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, previa autorizzazione di entrambe le Camere».
Ultimo l’art. 88, il quale si occupa dello scioglimento delle Camere. Oggi il Presidente della Repubblica può scioglierle entrambe, con la riforma avrà il potere solamente di sciogliere la Camera dei deputati.
← vai al precedente vai al successivo →
Vai allo speciale RiCostituente
Leggi altri articoli dello stesso autore
Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale Riforma costituzionale