Pena di morte: sempre più Paesi la aboliscono ma aumentano le esecuzioni
Tra tante notizie amare si intravede un barlume di positività. Piuttosto mascherata, a dire il vero, e confusa nel marasma di tensioni, violenze e oscenità che affollano la nostra percezione quotidiana. Nel complesso, è questa la buona notizia, l’evoluzione positiva verso l’abolizione legale o di fatto della pena di morte in atto nel mondo da oltre quindici anni, si è confermata nel 2015 e nei primi sei mesi del 2016. Più attenzione intorno al tema, diminuzione degli stati che ricorrono alla pena capitale negli ultimi dieci anni e progressiva attenzione legislativa per l’abolizione o la messa in moratoria della pena di morte sono i punti di speranza del Rapporto annuale 2016 diffuso da Nessuno Tocchi Caino, la lega internazionale affiliata al Partito radicale, che da anni monitora il ricorso alla pena capitale e conduce campagne per il rispetto dei diritti delle persone private della libertà personale.
Nello specifico, come riportato dal report, i Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 160. Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 104; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 6; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 6; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 44. I Paesi mantenitori della pena di morte sono progressivamente diminuiti nel corso degli ultimi dieci anni: nel 2016, al 30 giugno, erano scesi a 38, rispetto ai 54 nel 2005.
Il 2015 ha però segnato un aumento sia dei Paesi in cui la pena di morte è stata praticata, sia del numero di condanne: i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati 25, rispetto ai 22 del 2014, mentre erano stati 26 nel 2008. Nel 2015, le esecuzioni sono state almeno 4.040, a fronte delle almeno 3.576 del 2014, mentre erano state almeno 5.735 nel 2008. Il significativo aumento delle esecuzioni nel 2015 rispetto al 2014 si giustifica con l’incremento registrato in Iran, Pakistan e Arabia Saudita.
Il 2016, tuttavia, presenta notevoli fattori di rischio. Non solo la possibile reintroduzione della pena di morte in Turchia e l’aumento delle derive autoritarie diffuse per il mondo, ma soprattutto il fenomeno del terrorismo (e della risposta al proliferare del terrorismo) e la lotta alla droga hanno fatto aumentare il numero delle condanne. Nei primi sei mesi del 2016, almeno 1.685 esecuzioni sono state effettuate in 17 Paesi e territori. Al primo posto si conferma la Cina, con 1.200 condanne a morte (in linea con le 2.400 del 2015); al secondo posto si colloca invece l’Iran con 209 esecuzioni, a fronte delle almeno 970 del 2015. Segue poi l’Arabia Saudita con 95 esecuzioni in questo primo semestre.
Secondo il rapporto di Nessuno Tocchi Caino, in Iran il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato a partire dall’elezione di Hassan Rouhani come Presidente della Repubblica Islamica nel giugno 2013 (almeno 2.214 prigionieri sono stati giustiziati tra il 1° luglio 2013 e il 31 dicembre 2015). Circa il 46% di quelli ammazzati nel 2014 sono stati impiccati per reati legati alla droga, e questa cifra è schizzata al 65,2% nel 2015. In Arabia Saudita, l’ondata di esecuzioni è iniziata verso la fine del regno di Re Abdullah, morto il 23 gennaio 2015, accelerando sotto il suo successore Re Salman, che ha adottato una politica di “legge e ordine” in particolare nei confronti dei trafficanti di droga. Nel 2015, oltre il 40% delle decapitazioni nel Regno saudita sono state effettuate per reati di droga. Inoltre, l’Arabia Saudita ha effettuato almeno 47 esecuzioni per atti di “terrorismo” nei primi sei mesi del 2016. L’Iraq ha giustiziato almeno 30 persone nel 2015, di cui 27 per fatti di terrorismo. Almeno altre 55 persone sono state impiccate nel 2016 (al 30 giugno), tutte per fatti di terrorismo.
Il terrorismo, l’evoluzione dello Stato Islamico e la politica di intervento occidentale nel bacino mediorientale sono le questioni che più preoccupano, al di là del Rapporto sulla pena di morte legale, e che sono tristemente legate a un’altra forma di pena di morte. Esiste, in altre parole, una pena di morte indiretta? Proprio in questa fase di escalation militare in Siria, Iraq e adesso in Libia è lecito chiedersi se bombardare, distruggere, destabilizzare, lasciare annegare sia forse meno responsabile, e orribile, che dare la morte di stato?
È una dicotomia non da poco, se la morte, o in questo caso la sottrazione della vita, abbia sempre la stessa atrocità. Questo primato, purtroppo, temo che non ce lo sottragga nessuno.
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