Open: Andre Agassi e il valore della scoperta
Open è l’autobiografia tormentata e profonda di uno dei più grandi ed estrosi giocatori che uno sport come il tennis ci abbia regalato; Open, che Einaudi pubblica nella collana Stile Libero Extra nel 2011, è la storia del disvelamento e della liberazione di un’anima imprigionata, il racconto sincero di una «prima formazione» in cui il protagonista, non ha cambiato la sua immagine, ma l’ha scoperta, dove non ha mutato la sue vedute, ma le ha semplicemente aperte.
Letteralmente Open, appunto. Andre, cresciuto nelle terre riarse dal sole del Nevada, a Los Angeles, è un predestinato; lo sa e ne sente il peso notevolmente accresciuto da un padre che fin da bambino gli impone allenamenti estenuanti in quel campo da tennis acquistato volutamente insieme alla casa. In quello spazio angusto, Agassi conoscerà prematuramente non solo il gusto amaro della fatica ma anche i sapori aspri della solitudine, che lo relegheranno nell’angolo buio di una infanzia mutilata. Dovrà misurarsi da subito con quel «mostro sparapalle», il drago, uscito dalla mani ingegnose di un genitore che vuol fare di suo figlio il numero uno del tennis. ‘Il drago’ non è però solamente una macchina necessaria a migliorare le prestazioni sportive di una giovane promessa ma anche la prosecuzione materiale dei sogni di un padre ossessivo che inocula nelle viscere di un essere inerme i veleni della propria rabbia, della propria impazienza e del proprio perfezionismo e contro cui lo stesso Andre dovrà confrontarsi per tutta la vita: «Dopo anni che sento mio padre sbraitare per i miei errori, un’unica sconfitta basta perché faccia mie le sue critiche. Ho interiorizzato mio padre […] Non c’è più bisogno che papà mi torturi. D’ora in poi posso farlo da solo». Sarà questa la sorgente torbida di tutte le sue pulsioni autodistruttive, fino al giorno in cui uno dei suoi più cari amici e collaboratori gli rivelerà quanto tutto ciò rischia di minare più di ogni altra cosa la sua carriera: «cerchi sempre di essere perfetto senza riuscirci e questo ti fa andare fuori di testa. La tua fiducia in te stesso è distrutta. Cerchi di fare di ogni tiro un vincente quando essere costante, continuo, terra terra, ti basterebbe per vincere il novanta per cento delle volte». Ancora a sue spese Andre ci svela il lato debole di molte persone di talento, guidate irresponsabilmente da una pressione misteriosa che le induce a strafare, decretando i loro fallimenti.
Superati i rigori crudeli dell’infanzia, Agassi viene iscritto ad una delle più costose e prestigiose scuole per aspiranti tennisti, la Bollettieri Accademy, che più avanti non esiterà a definire una sorta «di campo di prigionia nobilitato». Ancora in catene dunque, nella morsa delle quali stavolta, oltre all’infelicità, graverà la struggente nostalgia di casa che, in questo giovane e smarrito adolescente, assumerà presto i contorni di una stravagante ed eccentrica ribellione. Orecchini, taglio alla mohicana, silenzi ostinati, pantaloncini di jeans faranno il verso a quella solenne austerità che da sempre ammanta uno sport come il tennis. In realtà, come leggiamo in questa appassionata confessione, dietro queste bravate adolescenziali non vi era la volontà di cambiare il volto di questo sport, come molti critici sostenevano, ma solo lo sforzo complicato di un ragazzo che dal tennis rifiutava di essere cambiato e che desiderava «essere nient’altro che se stesso» e poiché ancora lo ignorava, cercava di scoprirlo «con maldestri tentativi fatti a casaccio». La diversità di Agassi nel mondo ingessato del tennis dividerà sempre la critica che non comprenderà mai fino in fondo la spiccata sensibilità che si nasconde dietro questo fragile artista, così diverso dal quel rivale di sempre, Pete Sampras, così ‘ottuso’ e meccanicamente incapsulato nella sua ferrea e fredda disciplina.
Nel corso della sua intensa esistenza cosparsa di sudore, Andre si renderà conto che «una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta» e che ciò che si prova «dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo». Finali perse, eliminazioni inaspettate ed il dramma di un divorzio che si fatica ad accettare lo disorienteranno, fino al giorno in cui sdraiato sul «copriletto maleodorante» di un motel sperduto della California, durante un serrato dialogo con se stesso, mentre si chiede quale sia il reale motivo per cui odia, di un odio cocente, la sconfitta, trova un’amara risposta che coincide con quell’incapacità, totalmente umana, di non riuscire a scorgere in essa il modo per migliorarsi.
Certe consapevolezze, una volta raggiunte, sembrano esigere, urlando, l’immediata realizzazione di un cambiamento, anche se cambiare si sa, è l’arte più difficile da praticare per l’uomo. Nel suo viaggio più lungo, quello dentro se stesso, Andre è autore di un’ulteriore scoperta che descrive in uno dei capoversi più belli del libro, quella in cui si appura che le migliori intenzioni molto spesso cozzano con una delle leggi più dure del vivere: l’inerzia. «Anche se giuriamo di cambiare, anche se siamo dispiaciuti» – racconta Agassi – «e facciamo ammenda dei nostri errori, l’inerzia del passato continua a trascinarci per la strada sbagliata. L’inerzia governa il mondo». Poi come a mitigare i prevedibili sussulti della nostra impazienza citando un poema greco sentenzia: «La mente degli dei eterni non cambia all’improvviso».
Quello che Andre Agassi ha scritto insieme all’amico J.R. Moehringer, premio Pulitzer nel 2000, è soprattutto un libro sull’amore e sull’importanza che i suoi preziosi collaboratori e amici hanno rivestito nella sua onorata e altalenante carriera, facendolo sentire parte di una squadra. Perché da sempre Andre quasi a volersi liberare di quel pudore sciocco cui era stato stato abituato da quel padre incapace di esternare i propri sentimenti ha sempre cercato non solo persone preparate e competenti in grado di farlo migliorare professionalmente ma uomini in grado di ascoltare il suo dolore, a cui confidare le proprie pene e i propri affanni. Un libro quindi sul potere edificante della parola, perché come gli ricorda Gil, il suo fedelissimo allenatore, tra i modi per diventare forte talvolta il migliore è quello di «parlare».
L’altro tassello di questo splendido mosaico ricostruito sulle ceneri degli innumerevoli fallimenti è rappresentato dalla bellezza di quel legame che lo unisce a quella donna che inconsciamente ha rincorso per tutta la vita, Stefi Graff, e che lo ha reso padre di due meravigliose creature. La crescita avvenuta tra le pieghe fitte di una interminabile sofferenza lo porterà inoltre a trasformare quel rimpianto di non aver avuto una degna istruzione a istituire una fondazione benefica, (fors’anche ispirato da quel lontano incontro nel Sudafrica con quell’uomo che «era sopravvissuto alla solitudine dell’isolamento leggendo), per finanziare la costruzione di scuole per i meno fortunati.
Open è infine la conquista di quel trofeo tra i più ambiti in terra, così invisibile, ma così capace «per potere sovrano e grazia potente» di spalancare le porte di quella odiata prigione che arcane passioni avevano osato costruire: l’amare: unica ed imprescindibile via in grado di rendere idonei a «gestire la propria vita per non diventare vittime».