Il Mercante di Venezia torna al Silvano Toti Globe Theatre di Roma dal 22 luglio al 7 agosto. Si tratta dell’unico teatro elisabettiano d’Italia, attivo dal 2003 grazie alla Fondazione Silvano Toti e all’Amministrazione capitolina, che vede, come sempre, la direzione artistica di Gigi Proietti. Loredana Scaramella, regista e autrice della traduzione di questo testo, ha offerto una lettura originale della tragedia shakespeariana con l’intenzione di “mantenere il carattere di commedia, allontanandosi dai toni drammatici delle più recenti messe in scena”.

L’innovazione di questo allestimento è evidente sin dall’ambientazione posticipata di qualche secolo. La scelta di collocare le vicende di Antonio, Shylock e gli altri personaggi tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento non è stata indotta da un gusto puramente estetico, ma porta con sé una riflessione ben più profonda. Sono quegli anni “euforici, pieni di cambiamenti e di costume, di novità e luminosi progressi”, ma che insinuano un veleno sociale e ideologico destinato ad oscurare il XX secolo. È infatti l’epoca del caso Dreyfus che divide l’opinione pubblica intorno a pregiudizi antisemitici e attribuisce all’inedita collocazione de Il Mercante di Venezia un significato ulteriore, quanto mai contemporaneo, circa le disumane conseguenze che tali discriminazioni hanno causato. Ma la regista ha voluto altresì sfuggire ad una tradizionale tinta tragica che legge nell’ebreo un inequivocabile antecedente dell’Olocausto. La sfida è stata dare nuovo lustro al vero protagonista dell’opera: il mercante Antonio (Fausto Cabra) che si impegna a garantire il prestito a favore del suo amico Bassanio (Mauro Santopietro) con una libbra della propria carne. Antonio è infatti elevato ad un ideale esempio di amore e giustizia da contrapporre alla spietata legge del denaro, anche attraverso trovate ironiche e irriverenti che smorzano la tensione.

Un contributo in questo senso sono la personalità di Porzia (Sara Putignano) e l’ambientazione di Belmonte; “quel luogo indefinito nel quale si collocano le fantasie senza tempo del perfetto amore. Un cabaret sensuale, percorso da sfumature razziste apparentemente ingenue”. L’ harem di Belmonte è un quadretto che si adatta perfettamente all’immaginario della vita mondana della Belle Epoque, tra sontuosi costumi, frivolezze femminili e corteggiamenti convenzionali. Anche qui, al di là del mare, abbiamo la conferma del fatto che il soldo “makes the world go around” (definizione che la stessa Scaramella usa per le proprie note di regia) e mette in comunicazione Venezia, il regno del lavoro, con Belmonte, il regno dell’amore.

Carne, denaro e amore costituiscono una triade che svela la propria costante corrispondenza tra conflitti, desideri, paure e vendette. “I protagonisti si incontrano in un processo in cui tutti i destini sono sospesi sotto un’immagine minacciosa: la libbra di carne”. A tessere i due poli geografici, mondani e ideologici, ci pensa la colonna sonora dello spettacolo. Già durante la prima scena, i canti dei veneziani e la musica kletzmer degli ebrei, così ostili tra loro, creano una solenne armonia che ci introduce subito allo spirito evocativo dello spettacolo. Ma anche successivamente le voci di Mimosa Campironi e Antonio Sapio, accompagnate dal trio William Kemp, riescono a dar voce ai sentimenti dei personaggi cristiani. E se infine sull’isola dell’amore vengono pacificate tutte le incomprensioni in nome di divertenti convenzioni borghesi, la sorte per l’usuraio è ben diversa. A dispetto delle leggi, Shylock (Carlo Ragone) non ottiene giustizia e anzi perde i propri beni, anticipando le nefaste ombre novecentesche. L’epilogo de Il Mercante di Venezia della Scaramella prende forma, infatti, in una penombra abitata solamente da valigie impugnate silenziosamente e non certo per viaggi d’affari o per gite verso quell’isola dell’amore tanto vagheggiata dai personaggi.

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@letiziadelpizzo