Piazza Alimonda 15 anni dopo
15 anni fa, piazza Alimonda, Genova ore 17:30 circa. Un defender dei carabinieri, tanti caschi blu, manganelli, l’aria calda e carica di roba chimica che ti infuoca la pelle e ti annebbia la vista, l’asfalto bollente dei giorni di luglio, un corpo steso a terra tra il sangue e gli anfibi, un sasso. Carlo Giuliani è quasi morto. Sta agonizzando con una pallottola in testa. Un fotografo, Eligio Paoni, è il primo a immortalare il ragazzo. La sua Leica viene immediatamente sequestrata e distrutta sul posto. Un poliziotto lo afferra per i capelli e gli schianta la faccia contro quella di Carlo. Gli dice qualcosa che noi non sappiamo perché Eligio non ha mai parlato ma non è difficile immaginarlo. Dopo che ti distruggono una macchina fotografica e ti trascinano su un ragazzo agonizzante, non ti aspetti una pacca sulla spalla. Carlo morirà di lì a pochi minuti, forse qualche secondo. Ufficialmente è stato ucciso da un proiettile vagante che lo ha centrato in pieno volto dopo essere rimbalzato su un sasso lanciato in aria. Ma di ufficiale in questa storia c’è poco. Perché nessun processo è stato mai aperto per la morte di Carlo Giuliani, archiviata come legittima difesa. Le indagini sono state portate avanti dagli stessi apparati che lo hanno ucciso e così, come è umano che sia, il Corpo si è autodifeso producendo gli anticorpi di bugie e finzione che lo hanno salvaguardato.
In 15 anni la storia della morte di Carlo Giuliani è andata ben oltre la ricostruzione della polizia. La miriade di immagini e di video accumulati negli anni ha reso chiare le dinamiche. Rimane meno certo il nome di chi a piazza Alimonda sparò quel colpo. Mario Placanica, il carabiniere che ufficialmente ha sparato, non era il solo all’interno del defender. Con lui, secondo la sua ricostruzione e quella di altri testimoni, c’erano altri due colleghi: uno con lui sul retro e uno alla guida (Filippo Cavataio). Ma da molte immagini si può evincere la presenza di una quarta persona di cui nelle deposizioni non v’è traccia. In più il proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani era senza camiciatura, un proiettile “speciale” che Placanica, in servizio da appena 6 mesi, non poteva avere in dotazione. Viene da chiedersi perché quindi nascondere un collega quando ci si è solo difesi?
C’è poi la storia del sasso. In un primo momento, infatti, si voleva far credere che Carlo fosse stato ucciso da un sasso tirato da un altro manifestante. La messa in scena fu grottesca. Con un cameraman del Tg5 che riprende un gruppo di agenti in tenuta anti-sommossa che rincorre dei manifestanti. “L’hai ucciso tu, l’hai ucciso. Col tuo sasso!” Gli agenti sono talmente sicuri della colpevolezza del manifestante che lo lasciano scappare appena gira l’angolo del primo palazzo. Il sasso incriminato però non c’è sulla scena del crimine nelle prime immagini scattate da uno dei palazzi che affaccia su piazza Alimonda. Appare qualche istante dopo, bianco come il latte. Per rendere credibile la versione dei fatti, però, il sasso dovrebbe essere sporco di sangue. Un agente quindi lo fracassa contro la faccia di Carlo. Il sasso è finalmente insanguinato e posato accanto alla volto ormai deforme del ragazzo.
Ad uccidere Carlo Giuliani in piazza Alimonda, però, non è stata una pietra ma un proiettile esploso da una pistola d’ordinanza dei Carabinieri. La pistola quindi era già nelle mani del carabiniere, prima che Carlo potesse effettivamente
lanciare l’estintore. L’arma era stata già impugnata, il colpo inserito in canna e la sicura tolta. Immagini e video raccolti negli anni da chi ha voluto indagare seriamente mostrano chiaramente la pistola già impugnata prima che Carlo raccolga l’estintore.
15 anni sono passati dal pomeriggio di piazza Alimonda e ancora la verità fa fatica a emergere vinta ed oppressa dai luoghi comuni, dalle bugie e dal fango versato sul corpo di Carlo Giuliani, dallo Stato e da mezzi di informazione all’epoca completamente soggiogati. Dopo tanto tempo siamo ancora costretti a sentire frasi del tipo “se l’è cercata”, “uno di meno” o “non si dovrebbe rievocare un delinquente.” Queste frasi sono apparse nei commenti a un recente post su Facebook del fumettista ZeroCalcare. Chi conosce Michele Rech (questo il nome dietro lo pseudonimo) anche solo dal suo lavoro sa perfettamente cosa rappresenti per lui il G8 di Genova. Quando qualche giorno fa ha pubblicato la locandina di un evento commemorativo a piazza Alimonda a cui parteciperà con altri fumettisti, si è scatenata un’altra sassaiola. Un’altra imboscata. Un’altra carica, come quelle di Genova. Fatta di insulti, calci, sassi e lacrimogeni, bugie e menzogne. Sono stati talmente tanti i commenti e le segnalazioni che Facebook è stato costretto ad oscurare il profilo del fumettista fin quando non venisse rimosso il post. Ovviamente la locandina è stata tolta e ripubblicata insieme ad un commento di ZeroCalcare stesso che vuole chiarire la faccenda sugli autori dei commenti e delle segnalazioni: “Chi ha cacato il cazzo ieri non sono lettori miei, punto. Eccetto una minima parte, che ha espresso peraltro in maniera piuttosto pacata il proprio dissenso ma senza alcuna sorpresa, tutto quel macello e quei toni (comprese le segnalazioni che hanno portato alla chiusura della pagina e alla rimozione del post) l’hanno fatto altri, venuti su quella pagina apposta, che di sicuro non sono le mie categorie principali di lettori: nazisti e/o poliziotti (ex o attuali o simpatizzanti o sindacatini o associazioni). Stop.”
Genova non è finita. È una ferita ancora aperta e che continua a dividere la nostra società. Una ferita infettata da bugie e menzogne e che non ha lasciato solo il sangue di Carlo sull’asfalto di piazza Alimonda. Perché questa volontà di mascherare la verità e il dolore è testimoniata ogni giorno. Se il COISP (uno dei sindacati di polizia) organizza oggi a Genova un convegno dal titolo “L’estintore quale strumento di pace” in cui è invitato a parlare lo stesso Mario Placanica, si rende evidente la volontà di confermare quelle bugie, di alimentare la menzogna. Lo stereotipo del teppista con il passamontagna contro il bravo poliziotto va smantellato. Perché un passamontagna o un estintore non potranno mai ferire quanto una pistola e un proiettile che ti esplode in faccia. Perché a piazza Alimonda è stato un ragazzo a perdere la vita dopo tutto ciò che in quella giornata avevano fatto le forze di polizia e che faranno poi, due notti dopo alla Diaz e nella caserma di Bolzaneto. La ferita viene riaperta e infettata ogni volta che guardiamo le foto di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. Si riapre ogni volta che un poliziotto che ha ucciso un ragazzo viene applaudito dai propri colleghi e ogni volta che la giustizia e lo Stato si auto-assolvono.
Io a Genova non c’ero. Ero troppo piccolo o avevo genitori troppo responsabili. Quelle immagini e quell’estate però le ricordo bene. La paura dei BlackBlock, le facce scettiche dei miei genitori che guardano il telegiornale. La verità l’avrei saputa dopo, come tutti. Ma l’angoscia la provai subito e ancora torna quando riguardo quelle immagini o quando sento il racconto di chi a piazza Alimonda c’era, di chi sentì lo sparo da via Tolemaide, di chi tornò in treno a casa e trovò la celere ad attenderli alla stazione. Oggi, come ogni anno da quel 2001, è un giorno triste in cui rabbia e dolore si mescolano. Ma dobbiamo parlare di Genova. Dobbiamo coltivare la nostra memoria e trasmetterla. Dobbiamo raccontare a chi oggi ha 15 anni cosa è stato il G8 di Genova, cosa è successo a piazza Alimonda. Ma per farlo dobbiamo sapere cosa è accaduto, dobbiamo informarci e documentarci: questo video è frutto di una lunga contro-inchiesta portata avanti da diverse associazioni e ad oggi è la ricostruzione più dettagliata e fruibile che sia stata prodotta. Chi ancora non ha avuto modo di vederlo dovrebbe farlo. Anche solo per una maggiore conoscenza dei fatti. Ciao Carlo.
https://www.youtube.com/watch?v=bC-dy_gp17c#t=2627
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