All’Auditorium la poesia in note di Jack Savoretti

Jack SavorettiUn inglese dal cuore italiano. Potrebbe essere questo un ritratto efficace di Jack Savoretti, cantautore nato nella terra dove ogni sogno musicale è possibile, ma con le radici ben salde nel Bel Paese. Le origini (genovesi) si rivelano subito, dal primo momento in cui sale insieme ai Dirty Romantics sul palco dell’Auditorium Parco della Musica salutando il pubblico in perfetto italiano. Il concerto romano si apre sulle note spagnoleggianti di Written in Scars, title-track dell’ultimo disco di Savoretti, già fatto ascoltare al pubblico capitolino due anni fa, nel medesimo luogo. Savoretti ripropone un concerto molto simile alla scorsa data nella città eterna: protagonista è sempre l’ultimo lavoro, con incursioni nei tre album precedenti; un mix di vintage e pop moderno che spazia dal blues da bar (Knock Knock), a ballate acustiche (Changes, Breaking the rules) a schitarrate funky anni ’70 (Back where I belong).

Nelle interazioni con la platea che siede sotto le stelle nella calda notte romana si legge chiaramente un legame forte con il nostro Paese; con un padre genovese e un nonno partigiano non potrebbe essere altrimenti. Si indovina, però, anche una certa insofferenza alle severe regole del “music business” nostrano: Jack Savoretti in questo è l’eccezione, e non la regola. Non c’è da aspettarsi, insomma, un disco compiacente: Written in Scars racchiude un percorso che ricalca fedelmente il gusto musicale del suo autore: vi si ritrova un po’ di Dylan (inclusa la cover di Nobody ‘cept you), Dalla, Stevie Wonder, Marvin Gaye; eppure il risultato finale è qualcosa di unico e originale, rétro e fresco allo stesso tempo.

Jack SavorettiL’omaggio all’Italia, “l’amante da cui non ci si riesce a staccare” arriva invece sulle note di Ancora tu di Lucio Battisti, una spendida dedica acustica. Colpisce la voce graffiante, piena, energica; di grande impatto sul disco come dal vivo. Durante la serata qualche piccola incertezza tecnica solamente su Sweet Hurt e Tie me Down, brano che – ci tiene a precisare piccato Savoretti – non ha niente a che vedere con il bondage né con 50 Sfumature di grigio, a differenza di quanto si (e gli) chiedono spesso i giornalisti italiani. Il pezzo è piuttosto dedicato ai migranti e a tutti coloro che fuggono dal proprio Paese; vi si legge una coscienza sociale e politica presente in gran parte del disco e che permette di accostare Savoretti ai grandi cantautori degli anni ’60 e ’70 anche nelle tematiche. Capita, così, che anche giocando secondo le proprie regole si riesca talvolta a ritagliarsi un posto di tutto rispetto nel mercato musicale. Jack Savoretti ci è riuscito con successo. Chissà cosa ci riserverà in futuro questo giovane talento dal cuore anglo-italiano.

All’Auditorium la poesia in note di Jack Savoretti

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