Copa America 2016: Cile nuovamente campione!
Doveva essere la rivincita. Doveva essere l’anno dell’Argentina. Doveva essere la consacrazione di Lionel Messi in nazionale. E invece no. Argentina-Cile è andata come l’anno scorso: ai rigori … vince il Cile.
Per la Roja si tratta della sua seconda Copa America, per giunta consecutiva, nel giro di 12 mesi. Per l’Argentina si tratta della terza finale persa in 3 anni: Mondiale 2014 contro la Germania, Copa America 2015 contro il Cile e questa appena conclusa. La maledizione continua e, forse, i 23 anni senza alzare un trofeo (l’ultimo risale al 1993) hanno pesato sulla spalle dei ragazzi del Tata Martino.
Si potrebbe dire che la differenza è stata un rigore, un rigore soltanto. Si potrebbe aggiungere che Lionel Messi ha fallito, che il suo errore dal dischetto è stato decisivo … come quello di Biglia d’altronde. E in parte ciò non si può negare: sono dati di fatto che, statisticamente, hanno deciso l’esito di questa pazza Copa America del Centenario. Ma non sarebbe né giusto né esaustivo. Prima degli 11 metri, c’è stata una partita lunga ed estenuante durata più di 120 minuti compresi i vari recuperi.
ARGENTINA-CILE 2-4 (0-0 d.c.r.)
Argentina e Cile sono molto più simili di quanto non si creda. Scendono in campo con uno speculare 4-3-3, non snaturano il loro sistema di gioco e applicano la loro filosofia che, in pratica, è la stessa: il possesso palla di cui, dati alla mano di questa Copa America, detengono il primato del torneo (Argentina 92%, Cile 90%).
Entrambe aggrediscono alte, leggermente di più la Roja. Il match è intenso, gli spazi sono pochi e l’agonismo è alle stelle. Ma al 28esimo tutto sembra destinato a cambiare: Marcelo Diaz viene espulso per doppia ammonizione e l’Argentina dovrebbe prendere in mano il gioco. Dovrebbe, insomma, agguantare quel trofeo che così da tanto manca. Però ciò non accade, anzi, verso il 40esimo, Rojo viene espulso e la parità numerica viene ristabilita.
I due allenatori sono costretti a ridisegnare i propri schieramenti: il Cile arretra Vidal in mediana e Fuenzalida scala sulla linea dei centrocampisti; l’Argentina arretra Mascherano come difensore centrale e allarga Funes Mori terzino sinistro. Entrambe, così, passano a un 4-3-2.
Il Cile mantiene di più il possesso (56%) e cerca sempre la soluzione palla a terra. Non ha timore di giocarla dietro con Medel e Jara e soprattutto con il portiere e capitano Claudio Bravo che diventa, addirittura, un regista basso. A centrocampo con Vidal, Aranguiz e Fuenzalida occupa più spazi grazie alla maggiore fisicità e mobilità rispetto agli argentini. Si aggiunge a questi il funambolico Alexis Sanchez, imprevedibile e imprendibile, quasi sempre raddoppiato, capace di tenere alta linea ed evitare che il baricentro della Roja si abbassi troppo. Tutto questo favorito dalla profondità data da Edu Vargas che, anche in 10 contro 11, sta molto alto e non arretra mai oltre la linea di centrocampo.
L’Argentina rivela, invece, maggior confusione nella gestione e la manovra appare sincopata, accesa soltanto da spunti personali e quasi mai tramite un’azione corale. Higuain è l’ombra del cannibale che ha incantato in Italia, tant’è che viene sostituito e Di Maria non sembra nella migliore condizione. Lionel Messi, da parte sua, accende, con qualche accelerazione improvvisa, il pubblico di fede biancoceleste ma i raddoppi su di lui sono costanti e impeccabili. Il migliore in campo, leader silenzioso, dell’Albiceleste è sicuramente Javi Mascherano. Mai fuori posto, mai fuori tempo nelle entrate, sempre presente.
Così, in breve, si possono tracciare i punti fondamentali di un match che definire equilibrato sarebbe un eufemismo. Ma, come abbiamo detto, la differenza, anche se è stata effettivamente un rigore, non è stata solo quella. La Roja ha dimostrato maggior sapienza tattica, maggior intesa e una migliore distribuzione nel rettangolo verde. Il Cile, insomma, seppur di poco, ha meritato di alzare la coppa.
L’Argentina, dal canto suo, ha palesemente subìto la pressione e l’ossessione di dover vincere a tutti i costi. Non si è liberata della paura di perdere un’altra finale e ha perso. Ha fallito e ha fallito con il suo uomo simbolo, Lionel Messi, che ha mirato troppo in alto dagli 11 metri.
Twitter: @Francesco Nespoli