Italiani all’estero: le mete più ambite
Secondo il RIM (Rapporto Italiani nel Mondo), gli Italiani all’estero partiti nel 2015 sono oltre 110.000. Oltre centomila persone hanno abbandonato la terra natìa per iniziare una nuova avventura fuori dai confini nazionali. Quasi in parità la statistica tra uomo e donna: sono 44.000 le donne e 50.000 gli uomini. La maggior parte di loro ha difficoltà in Italia a trovare l’impiego ideale o quanto meno dignitoso. Solo una piccolissima parte va via in cerca di serenità, cercando luoghi in cui la pensione vale di più o in cui la vita, semplicemente, costa di meno. I dati del fenomeno migratorio sono sempre più importanti: nell’ultimo decennio, dai 3.000.000 di italiani iscritti all’Aire nel 2006 siamo passati ai 4.600.000 del 2015, oltre un milione in mezzo in nemmeno 10 anni.
Quali sono le mete più ambite?
Ma dove vanno gli italiani all’estero? Secondo il RIM, le mete più ambite sono Germania, Regno Unito, Svizzera e Francia, seguiti dagli Stati Uniti e dall’Irlanda. Luoghi in cui gli Italiani vanno a cercare fortuna o nuove prospettive di vita.
Gli impieghi degli italiani all’estero
Camerieri o laureati, pizzaioli o professionisti, artigiani o imprenditori: i lavori degli italiani all’estero sono tantissimi e la loro distribuzione varia da Paese a Paese.
La voce dell’italiano all’estero
Ernesto, 22 Anni, è nato in Italia. Originario di Venafro, Molise è partito per Glasgow, Regno Unito, nel settembre del 2013. Arriva in Scozia con 900€ (con il cambio 600 sterline), neanche un mese di affitto nella sua nuova casa, dove è costretto a dormire su un materasso gonfiabile per un mese in attesa della prima paga.
Quando hai iniziato a lavorare?
Subito. Ho cominciato dopo pochissimi giorni a lavorare in un ristorante nel centro di Glasgow. Facevo il cameriere, e lavoravo 30 ore a settimana. Prendevo la minima paga, poichè ancora non ero pratico nel mio lavoro, ma soprattutto ancora non avevo imparato la lingua. Prendevo 100 sterline a settimana ed era davvero poco. Poi ho cominciato a parlare molto meglio la lingua inglese ho chiesto di fare più ore a lavoro. Dopo qualche mese, potevo già permettermi di conservare una somma mensile oltre le spese ordinarie. In cinque mesi sono passato dalle 30 alle 75 ore settimanali. Lavoravo molto, ma quando nel fine settimana mi veniva consegnata la paga rimanevo a bocca aperta.
Qual’è stata la differenza tra l’Italia e il Regno Unito?
Sicuramente quella più importante, accertabile da tutti gli italiani all’estero, è che il lavoro, nonostante fosse molto duro dava dei frutti importanti. Ero gratificato dal proprietario del locale per il quale lavoravo, ricevevo molti “Bonus”, le mance italiane, che qui sono all’ordine del giorno e quasi obbligatorie. Ho guadagnato fino a permettermi un’automobile e poi, pochi mesi fa, una casa tutta mia.
Quindi, sei rimasto nel locale dove lavoravi o hai cercato qualcosa che può farti crescere?
Il meccanismo è simile per molti Italiani che arrivano nel Paese. Cominciamo nei ristoranti, che sono quasi tutti italiani. C’è chi rimane anni a fare il lavapiatti, perché non è possibile fare un lavoro dove sei a stretto contatto con le persone senza sapere la loro lingua. Nel mio caso, dopo due anni come cameriere – un’esperienza che mi ha permesso di imparare molto bene la lingua – sono entrato a far parte del team di un noto brand di telefonia. Oggi lavoro in questo negozio e mi occupo della vendita di telefoni cellulari, ma non mi fermo qui, sono intenzionato ad entrare nella polizia qui a Glasgow e trovare un impiego per la vita.
Ernesto, oggi frequenta una scuola di preparazione per i concorsi che gli consentiranno l’ingresso in polizia. Sta costruendo il suo futuro lontano da casa sua. Lontano dalla famiglia. Ma ha trovato qualcosa che il suo Paese non ha potuto, né saputo offrirgli: una vita normale, con un impiego e un rientro economico alla fine del mese. Ernesto è uno di quei 4 milioni di Italiani all’estero. Ernesto potrebbe essere chiunque di noi, che dopo la laurea o dopo anni di curriculum senza risposta decide di approdare in altri porti.
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