L’Italia non è un paese in crisi
Le vicende della politica italiana vanno ormai consolidando il loro incontrastato primato di nebulosità; avvolgono fino ad intorpidirlo l’esausto cittadino-spettatore che arranca, privato di speranza, nel seguirne le tortuose dinamiche. Lo lasciano spesso in uno stato di frustrante imbarazzo tra il senso di colpa dell’indifferenza e l’inutile livore verso i patetici scontri dei diversi schieramenti politici.
L’Italia non è un paese in crisi; l’Italia è un paese fermo che stagna nelle acque torbide dell’inefficienza dove lo spirito di iniziativa langue. Si abusa di questa meravigliosa parola, crisi, sorta nella civile e radiosa antica Grecia, culla della democrazia e patria della filosofia e della poesia. Crisi ( dal greco krino, io scelgo) è tutt’altro che uno stato d’arresto; niente è più foriero di novità, niente è più fecondo di un periodo critico purché, è ovvio, ci si lasci investire di tutta la sua tensione costruttiva. E per costruire c’è bisogno di scegliere, e una volta scelto, si sa, inevitabilmente si sarà chiamati a rispondere. Tutto ciò è lontano dall’accadere in questo nostro Paese che da qualche mese è così impegnato nel votare o meno la decadenza del mandato parlamentare di un capo di partito; non basta il fatto che un’aula di tribunale abbia ormai emesso una condanna definitiva e che abbia già deciso della colpevolezza di un uomo. Non è bastato questo a placare la vocazione tutta italiana ad impastoiarsi nella fanghiglia dell’indecisione o delle scelte rimandate.
Nel frattempo come complici sornioni di un copione che si recita ormai da anni il Movimento Cinque Stelle si abbandona ad un criticismo ad oltranza, ad un purismo per nulla edificante intessuto dei soliti turpiloqui e mai permeato di concrete iniziative politiche. O meglio è come se si beasse di questo ruolo al di fuori dei giochi politici che gli permette ogni volta di gridare agli scandali fino ad ungersi di un populismo becero e stantio. Anche questo è molto italiano.
C’è infine il Pd che eguagliando nei fatti i suoi avversari imperversa nella sua incurabile e suicida litigiosità. Ogniqualvolta si trova di fronte ad un problema mette in scena situazioni che ricordano le riunioni di condominio sprovviste di un amministratore; amministratore che peraltro da anni si finge di cercare. Aree, correnti, sembrano spesso sfornarne uno ma inutilmente; è il Partito Democratico! Volendo intendere quest’ultimo aggettivo alla maniera in cui lo intendeva il pensatore austriaco Karl Kraus e cioè democratico nel senso di «essere schiavo di tutti». L’ultimo episodio sul tesseramento rivela fedelmente l’animo reazionario di un partito politico ancora impantanato nella sua infida burocrazia e incapace di portare avanti un progetto politico solido frutto di una singolare visone del mondo. Incredibilmente perso come ricorda Massimo Giannini in «risse tra nomenclature» con i suoi dirigenti, «quelli presenti passati e futuri sempre più occupati in una impossibile e astrusa ermeneutica intorno ad uno statuto complicatissimo che ricorda un manuale sovietico».
L’Italia è un paese affetto da codardia, avviluppata nel suo pigro rifiuto di evolversi in qualcosa che vada al di là di un presuntuoso «io avrei fatto meglio». Non può rimanere fissata nel condizionale di questa locuzione che pietrifica chi la pronuncia come gli occhi di Medusa. Uscire dal limbo pretestuoso che non obbliga a scegliere disprezzando chi lo fa, appare l’unica soluzione. Magari cominciando da un sano confronto con le altre nazioni che anche con le loro mancanze, i loro errori favoriscono la dinamica evolutiva delle loro democrazie mentre noi continuiamo a nuotare nella nostra palude.