John e Joe, la favola alienata del denaro

Dal 18 al 29 maggio 2016, presso il Piccolo Eliseo, viene messo in scena lo spettacolo John e Joe, tratto dal testo di Agota Kristof, e visto dagli occhi del regista Valerio Binasco. Si tratta di una favola contemporanea, che parla dei primi e degli ultimi nella scala sociale. Tutta colpa delle stelle, c’è chi nasce sotto una buona stella e chi no, punto. John e Joe sono questo. Nella vita è solo fortuna, altro che merito, alcune persone sono predestinate a diventare ricche, altre a languire nella miseria e nella povertà. Un po’ come nel film “The Millionaire”, dove il motto emblematico di tutta la storia è: “It is written”, ossia “E’ scritto”. Dove, alla fine della fiera, il libero arbitrio diventa un atavico e sbiadito rimando letterario.

Così Agota Kristof dipinge i suoi clochard, John e Joe, interpretati egregiamente dagli attori Nicola Pannelli e Sergio Romano, in modo quasi clownesco, facendone emergere due personaggi comici. Una comicità pura, intrisa di un arguto sarcasmo, avvolta da una sottile e intelligente ironia. Come quando uno chiede all’altro se abbia mai lavorato, almeno una volta nella vita, e come mai si sia ridotto così: “Sì, una volta ho fatto il Co.Co.Co”. Una battuta pungente, affilata e dolorosa come una lama conficcata nella schiena, una critica sociale amara, come bere un caffè senza zucchero. Così viene smontata la serietà dell’economia mondiale che, in fondo, non è che una giostra che si muove vorticosamente, alla velocità della luce. Una “ruota del criceto”, dove bisogna correre senza mai fermarsi, senza chiedersi il “perché”, dove se scendi sei fregato. Un sistema nel quale non ci sono persone ma numeri, dove non conta chi sei ma che lavoro fai. Come se, in fondo, il lavoro e i soldi determinassero il valore di una persona e non viceversa. La semplicità del testo è perfettamente in linea con la purezza quasi infantile dei personaggi. John e Joe sono dei “puri”, due clochard che non hanno niente se non se stessi, e questo gli basta. La chiamano “l’arte di arrangiarsi”. Già perché qualunque idiota sarebbe in grado di vivere con i soldi, invece ci vuole cervello per cavarsela senza lavorare.

John e Joe

Sembrano usciti da “Storie di ordinaria follia”, da “Post Office” o da “Factotum”, di Charles Bukowski: “Non sopporto l’idea di sedermi davanti a un uomo dietro una scrivania e dirgli che voglio un lavoro, che ho i requisiti necessari. La vita mi fa semplicemente orrore. Sono terrorizzato da quello che bisogna fare solo per mangiare, dormire e mettersi addosso qualche straccio. Così resto a letto a bere. Quando bevi, il mondo è sempre là fuori che ti aspetta, ma per un po’ almeno non ti prende per la gola”. Un teatro dell’assurdo, che descrive l’innocenza degli ultimi, di quelli che non si sono fatti “sporcare” dal sistema, la loro alienazione economica, sociale, esistenziale. Quella di John e Joe è una poetica davvero struggente, che fa della trasparenza la sua punta di diamante, che brilla, inondando di luce le anime di chi saprà comprendere.

 

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