Emergenza casa: la concorrenza sleale degli immobili popolari

sfratti2Parola d’ordine: casa. Ci si investe la vita, si fanno quei conti che puntualmente non tornano mai ma si tenta di rimanere pur sempre ottimisti. E allora si fa il grande passo, si apre un mutuo o si va in affitto perché da mamma e papà si sta stretti ormai, alla soglia dei 30 o dei 40. Via verso la libertà tanto agognata, a un passo dalla felicità. Le cose vanno bene, unendo le forze si sostengono le spese e gli interessi delle banche o la puntualità svizzera di un affittuario che suona sempre quel primo del mese alle otto in punto.

Poi qualcosa non va, qualcosa che per tenere alte le aspettative non era proprio da considerarsi: l’azienda sforbicia il personale, lo rasa a zero, i tassi, per chi crede che la variabilità sia sempre contenibile dentro numeri ragionevoli, crescono a dismisura e ci si ritrova persi. A far da contorno c’è la benzina, il mangiare, i pannolini, la scuola, le tasse sull’acqua sulla spazzatura e sull’aria. Oppure ci si ammala, si aspetta un figlio, e l’Italia puntualmente non tutela.

70 mila esecuzioni di sfratto con una crescita che sfiora il 7% solo lo scorso anno, cifra da capogiro che ancora una volta ci inserisce tra i primi in Europa, battiamo le mani. Si torna da mamma e papà, si prende una stanza che i sub affittuari si fanno spesso pagare cifre sorprendenti, oppure si dorme in macchina con due figli, un cane e una tartaruga, che fortunatamente almeno lei è poco ambiziosa per natura.

Allora ci si organizza come si può, si diventa per necessità procacciatori di sopravvivenza e ci si ritrova ad un rendez vous con il meraviglioso mondo delle case popolari. Solo a Milano sono  25 mila le persone in attesa di assegnazione di un immobile, le altre città la seguono in fila indiana, raggiungendo un numero di circa 650 mila probabili inquilini. Gli alloggi sfitti variano tra le 30 mila e le 40 mila unità.

Le ragioni sono da ricercare nello stallo in cui lo Stato è piombato dalla metà degli anni 80, chiudendo i rubinetti all’investimento abitativo. Le agenzie incaricate alla gestione di questi immobili non effettuano lavori di ristrutturazione, non tengono alte le aspettative per quelle esigue esigenze che vengono richieste. Altra piaga italiana è caratterizzata da una porzione di inquilini delle case popolari, molti dei quali non presentano situazioni economiche disagiate da richiedere tale diritto.

Poi, oltre alle case sfitte, ci sono le abitazioni acquistate, già locate, sub affittate, da tutta una rete di cittadini che non rientra in quei valori di strette necessità, che ruba di fatto il posto a chi ne ha veramente bisogno, lucrandoci sopra. Ad occuparsi della gestione di tali immobili è l’ATER, su cui noi annodiamo un fiocco, e che ci ripromettiamo di andare a trovare.

Un dramma all’italiana dunque, sempre al limite del grottesco, della piaga sociale su cui costruire la nostra immagine, buttandola a ridere, come al solito.

di Nicoletta Renzetti

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