Stefano Fassina ora mira al Campidoglio, riammesso dal Consiglio di Stato
Da oggi Stefano Fassina è di nuovo ufficialmente candidato sindaco di Roma. Dopo l’esclusione della sua lista “Sinistra per Roma Fassina Sindaco” dalla corsa al Campidoglio per un vizio di forma, nella giornata di lunedì il Consiglio di Stato ha riammesso l’ex PD e le liste che lo sostengono, nella corsa alle elezioni comunali. La candidatura di Stefano Fassina a Roma, come quella di Fratelli d’Italia a Milano, erano state escluse dai rispettivi uffici elettorali per vizi di forma nell’autenticazione delle firme di presentazione delle liste stesse. Inutili furono i ricorsi al Tar del Lazio e a quello della Lombardia che avevano confermato la decisione di escluderle dalle schede elettorali.
Di tutt’altra opinione è stato invece il Consiglio di Stato che non ha riscontrato nel caso particolare una violazione delle normative così fondamentale da giustificare l’esclusione di Fassina. Le liste, infatti, erano state escluse per la mancanza di alcune indicazioni della data di autenticazione delle firme. Questo motivo non è però parso sufficiente al Consiglio di Stato per escludere le liste, dato che non esiste una norma di legge che prevede la nullità delle sottoscrizioni quando ne manchi la data. In più, si legge nella nota di Palazzo Spada, con la riammissione delle liste si vuole perseguire il principio democratico della massima partecipazione alle consultazioni elettorali nei casi in cui i candidati e i partiti che li sostengono abbiano tutti i requisiti sostanziali previsti dalle norme di legge in materia elettorale.
Stefano Fassina affida ad un Tweet la sua soddisfazione: “Sono felice – scrive – la sinistra torna in campo a Roma più forte di prima.” Ribaltata anche la decisione del Tar di Milano che aveva escluso la lista di Fratelli d’Italia per la mancata presentazione delle dichiarazioni di assenza delle cause di incandidabilità. È risultato poi che tali dichiarazioni erano state presentate il giorno successivo alla scadenza e che tale ritardo, probabilmente dovuto ad un’inefficenza degli uffici stessi, non poteva inficiare il diritto democratico ad una consultazione elettorale.
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