Omicidio Moro, il caso che divise l’Italia
Omicidio Moro. Il 9 Maggio del 1978, in una traversa di Via delle Botteghe Oscure, via Caetani, fu ritrovata una Renault 4 con il corpo esanime dell’allora Presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. La mattina del 16 Marzo dello stesso anno, Moro era stato rapito da un nucleo armato delle Brigate Rosse, nel giorno in cui veniva presentato in Parlamento, per la fiducia, il quarto governo Andreotti; le Brigate Rosse intercettarono la Fiat 130 che trasportava Moro dalla sua abitazione alla camera dei deputati uccidendo a freddo cinque uomini della scorta, Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
Seguirono 55 giorni di prigionia, nei quali si alternarono differenti posizioni dei principali partiti nazionali, Pc (partito comunista) Psi (Partito Socialista Italiano) e Dc (Democrazia Cristiana) che dividevano l’opinione pubblica in cloro che avrebbero voluto trattare con i brigatisti e coloro che sostenevano invece, con forza, la linea della fermezza. Furono Berlinguer e la Democrazia Cristiana a sostenere la linea della fermezza politica, ritenendo che lo Stato non potesse essere ostaggio del terrorismo, a differenza di Craxi, leader del Partito Socialista, che privilegiava una linea di condotta a sostegno della vita dell’uomo, più che del politico, Aldo Moro. Anche il Papa, Paolo VI, intervenne più volte con appelli, oltre che con una lettera pubblica, nella quale invitava i mandanti e gli esecutori del rapimento ad un atto di misericordia e di pietà nel rispetto della vita umana. Oggi, coloro che si ritiene abbiano avuto maggiori informazioni sul rapimento e sull’assassinio,ovvero Giulio Andreotti e Francesco Cossiga, non sono più in vita. Cossiga, secondo alcune indagini, ebbe un comportamento ambiguo il giorno del ritrovamento del cadavere e, secondo leggenda, da allora si ammalò di vitiligine per il trauma ricevuto.
I primi arresti, a distanza di pochi giorni dal tragico epilogo dell’omicidio Moro, videro coinvolti, tra gli altri, Mario Moretti, Valerio Morucci e Adriana Faranda. Il 28 Gennaio del 1983, a termine di un lungo processo durato nove mesi, la Corte d’assise di Roma inflisse ai 63 imputati 32 ergastoli e 316 anni di carcere.