Cosmografie, quando la bellezza viene raccontata dall’arte
“Avere genio significa partecipare all’irrazionalità del cosmo”, scriveva Hugo von Hofmannsthal ne Il libro degli amici. Ed è quanto hanno fatto, attraverso le loro opere, i trentuno artisti esposti nello spazio creativo del Varco, nel cuore del Pigneto. Ed è proprio in quel momento, quando l’occhio del genio artistico cattura le sfumature dell’universo, che le Cosmografie si manifestano nell’astrazione definita in un’immagine. La mostra Cosmografie, curata da Eva Czerkl, sarà presente al Varco fino al 20 maggio 2016.
La bellezza di un’inaugurazione di un evento artistico, non risiede soltanto nel poter ammirare con occhi innocenti le opere degli artisti prima di essere contaminati dall’inevitabile giudizio dei critici. La magia dei vernissage nasce proprio dalla presenza dei creatori, dei ‘genitori’ di questi manufatti: li possiamo riconoscere dal loro passo leggero, da quell’innata sicurezza e profondo mistero che si cela nei loro occhi. Occhi che sono un baratro sull’abisso. Ed è proprio questa sensazione di precipizio, di caduta nelle tenebre, che ci spinge ad andare da alcuni di loro per saperne di più. Trasportati da questa atmosfera, abbiamo deciso di andare da Alessandra Vinotto, fotografa d’arte, reporter di viaggi, poetessa, pluripremiata al 3D Film festival Hollywood di L.A. nel 2010 e nel 2011; inoltre prima regista italiana ad aver realizzato un video in 3D stereo, nel 2013 ha diretto “Viceversa 3D” al padiglione Italia della Biennale di Venezia: il primo documentario europeo sull’arte contemporanea girata in 4K. Ma Alessandra è tanto altro, e in questa sede sarebbe impossibile elencare tutte le sue imprese, così le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa sulle quattro foto che ha deciso di esporre per Cosmografie.
Come nasce il tuo lavoro per Cosmografie?
Cosmografie per me è la ricerca dell’artista in ambito naturale, cioè nell’ambiente naturale e quindi l’interpretazione dell’occhio dell’artista sulla natura. Dunque, tutto parte da “Mater Matuta”: siamo a Roma, e ho voluto omaggiarla con questo titolo. “Mater Matuta” è la dea della fertilità, la protettrice della razza umana e ritengo che l’interazione cosmo- uomo e natura- artista, parta dalla grande madre creatrice, dalla meraviglia della creazione, che per me è femminile.
Della seconda foto, ne sarebbe sicuramente fiero Aldous Huxley, poiché spalanca o meglio, richiede di spalancare le porte della percezione sull’immagine. Apparentemente è un semplice corso d’acqua ma, osservando meglio vediamo un occhio chiuso e uno aperto, una bocca che urla, una mano con un anello: si tratta di Ofelia. A questo punto la curiosità aumenta.
Stavo fotografando un ruscello di montagna, sempre per analizzare questo rapporto dell’astratto dell’artista con gli elementi naturali. Non ho visto subito il volto di Ofelia, ma nel momento in cui ho guardato la foto dell’acqua, in quel ruscello ho visto lei : mi ha impressionato tantissimo.
A chiudere il polittico, due opere dai titoli evocativi: Snow Planet e My Dreamland.
E’ il pianeta dedicato a me ed è un pianeta ideale, che non esiste in realtà, in quanto idealizzato nella mente dell’artista. I miei amici sono soliti appellarmi ‘gatta-orsa’, perché sono un po’ orsa e un po’ gatta nel senso che amo molto le montagne e se qualcuno mi pesta la coda non sono proprio simpaticissima. Quindi il pianeta della neve, “Snow Planet”, è dedicato a me. “My Dreamland” è l’unica foto che dall’astratto passa al concreto e chiude il cerchio. E’ un paesaggio vero nel quale mi trovo spesso quando vado a sciare: è un passaggio obbligato che unisce due montagne. Ovviamente non appare in questo modo all’occhio di un comune mortale, ma è così soltanto nel momento in cui lo si vede con una particolare luce: quando la prima collina è totalmente in ombra e la seconda invece è completamente illuminata dal sole. E questa foto ho voluto ancora dedicarla a me, alla mia natura da sogno, a ciò che mi far star bene.
Spostandoci soltanto di qualche passo, vieniamo folgorati da due fasci di luce intrappolati in due scatti fotografici. Ora, sono due colori i quali non sfuggono ad un particolare tipo di fauna musicale, poiché possono appartenere soltanto a un volto, soltanto a un musicista: David Bowie. Questo omaggio è frutto delle mani di Pierluigi G. Vecchi, artista multi disciplinare che da anni lavora nell’ambito dei video, della fotografia, della pittura e delle installazioni d’arte. Laureato in Belle Arti all’Università Concordia di Montreal, in Canada, vive e lavora a Londra. Il dittico, “Trasformer 1” e “Trasformer 2”, è stato creato, appunto, come un tributo fotografico alla figura di David Bowie, recentemente scomparso, esplorando il concetto di trasformazione. L’impatto visivo è forte e la ricerca di luci e colori soggiace al suo lavoro.
La trasformazione per Pierluigi “è vedere il mondo in modo nuovo. Io lo vedo come fasci di luce che si proiettano nell’universo. Queste foto, in pratica, sono un ingrandimento di un pavimento con delle luci sulla superficie. Mi interesso alle forme multicolori, all’acqua e a quello che può essere e non essere: infatti le mie foto sono sfocate in alcuni punti e più a fuoco in altri”.
Inoltre potrete ammirare le opere di: Françoise Amossé, Jürgen Angeler, Aurelio Biocchi, Angelo De Francisco, Katerina Dramitinou, Jean-Bernard Fourcault, Mihai Grosu, Gym Halama, Monique Lemaire, Robert Andler Lipski, Massimo Magistrini, Jacopo Mandich, Aldo Mangaro, Claudio Masenza, Omar Olano, Paola Paleari, Maria Pia Pascoli, Claudio Rosso, Ai Sato, Emilio Sgorbati, Helen Shulkin, Irena Anna Sowinska, Alan Spazzale, Reinhard Stammer, Pejman Tadayon, Vassilis Triantis, Marie – Anne Truffino, Marc Vandevelde, Christine Verhaert.
“Ho fotografato i momenti della vostra eternità perché non andassero perduti”, scriveva Vivian Maier. E voi dovreste andare a vedere Cosmografie, per partecipare all’eternità che uno scatto fotografico può offrire nel presente. Dove? Sempre al Varco, che è una struttura, ma anche metafora: aprirsi un varco, per scoprire; aprirsi un varco in un quartiere, quello del Pigneto, in cui si registra, in quest’ultimo periodo, una sorta di guerra alla cultura, artistica e musicale.
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