Nessuno parli della strage di Odessa
Strage di Odessa. La probabilità che il primo interlocutore a tiro risponda picche alla domanda «sai cos’è successo ad Odessa nel maggio del 2014?» è direttamente proporzionale al sorgere del dubbio «dove diavolo è Odessa?». Nessuno ne sa niente.
Il 2 maggio del 2014 la città di Odessa, abitata da un milione di persone (per la maggior parte russofone) e affacciata sul Mar Nero, ospita una partita di calcio tra la squadra locale e il Metalist Kharkiv. Questa città è da settimane sede incandescente di malumori crescenti tra i sostenitori di Euromaidan (la rivoluzione del febbraio precedente che portò alla deposizione dell’ex presidente Janukovyc e all’instaurazione di un nuovo governo più vicino al mondo occidentale) e i cittadini filorussi, contrari al nuovo governo golpista instauratosi poche settimane prima. Questi ultimi vorrebbero una federalizzazione dell’Ucraina nella quale trovino posto Repubbliche autonome (come le odierne Lugansk e Donetsk nell’est del paese), sull’onda della proclamazione di annessione alla Russia da parte della Crimea nel marzo dello stesso anno.
A Odessa in quel venerdì d’inizio maggio c’è di tutto: attivisti anti e pro Maidan, fanatici di Pravjy sektor (gruppo neofascista Ucraino ed ultranazionalista), forze di polizia e normali cittadini. Più di mille ultras pro Maidan sfilano per le strade della città, in attesa del match fissato per le 17, cantando il proprio amore per un’Ucraina sovrana ed Europea (assioma assai insolito) e l’odio per i concittadini Russi. Insieme a loro sono presenti numerosi fascisti di Pravjy sektor. Ma all’improvviso avviene ciò cui Odessa, una città che nonostante tutto aveva sempre mantenuto toni pacifici, non è abituata: un gruppo ridotto di uomini ben armati, lancia provocazioni contro il corteo: colpi di pistola, grida, cariche. Questi uomini portano, come evidenziato da numerosi video sul web, due fasce al braccio: una nero-arancio, rappresentante la fazione filo-russa ed una rossa, di solito appartenente agli attivisti di Pravjy sektor. Chi sono queste persone? Attivisti filo-russi ostili nei confronti dei nazionalisti in sfilata o personaggi incaricati di provocare un’insurrezione tra la folla, istigandola tramite atti di violenza? Dare una risposta a questa domanda è fondamentale per far luce sulla strage di Odessa, scaturita nelle ore successive. Quel pomeriggio saranno sei i morti negli scontri, stando alle fonti ufficiali. Cinque di questi sono attivisti pro-maidan. La polizia non interviene, è totalmente inerme durante gli scontri come se le fosse stato dato l’ordine di non agire.
I fatti ad ogni modo, qualsiasi sia l’identità dei provocatori, spostano il set della tragedia in un luogo preciso: piazza Kulikovo Pole, da mesi sede degli attivisti pacifici anti-Maidan. In questa piazza, sulla quale si erge la casa dei sindacati (palazzo di architettura sovietica) è dislocato un presidio degli attivisti con tavolini e gazebi.
Partono dei messaggi sui social network: tutti in piazza Kulikovo, facciamo il culo ai filo russi, hanno ucciso cinque dei nostri. Come mostra questo video, i nazionalisti si riversano in Kulikovo, mentre gli anti-Maidan fuggono all’interno del palazzo dei sindacati, sicuri che quest’ultimo possa offrire loro un riparo dagli accorrenti manifestanti. Sul tetto dell’edificio però, come si può notare dal video, delle persone sparano, lanciano pietre e molotov sulla folla sottostante: secondo alcuni questi personaggi sarebbero gli stessi federalisti presenti in piazza fino a pochi minuti prima; secondo altri invece si tratterebbe di infiltrati il cui scopo sarebbe provocare i nazionalisti, in modo che questi si accaniscano con maggiore ferocia nei confronti della casa del sindacato (alcuni video mostrano infatti delle fasce rosse al braccio di questi).
Una risposta veritiera a questo dubbio ad oggi non esiste: la cronaca dei fatti vuole però che quella ferocia sia poi arrivata, incontrastata (la polizia ancora una volta non interviene), rendendo Kulikovo Pole un campo di battaglia nel quale la casa dei sindacati viene messa a ferro e fuoco. E’ il preludio alla strage di Odessa
Da qui ha inizio quella che purtroppo non passerà mai alla storia come la strage di Odessa. I motivi ve li spieghiamo più tardi. I fascisti del settore destro lanciano molotov contro la casa dei sindacati incendiandone gli ingressi principali, il fumo è dappertutto. Qualcuno più tardi dirà che l’incendio sia stato alimentato dalle molotov degli stessi personaggi sul tetto, fatto sta che i pompieri arriveranno soltanto un’ora più tardi, quando le fiamme avranno già fatto le prime vittime. La polizia intanto è arrivata, ma si limita ad assistere dal basso, mentre dentro va in scena il terrore nella sua forma più pura, silenzioso e ben nascosto dagli occhi dello stato di diritto.
I fascisti di Pravyj sektor ed altri attivisti pro-Maidan si riversano all’interno dell’edificio dando avvio ad una vera e propria carneficina (oggi inconfutabile grazie alle terribili immagini messe in rete poche ore dopo gli eventi): corpi carbonizzati, uomini uccisi a sangue freddo con fori da proiettile sulla nuca, corpi sparsi per tutto l’edificio. Tutti i giornali dell’occidente, il giorno dopo la vicenda, hanno riversato la causa della morte di 48 persone (secondo i dati ufficiali del governo) su un incendio, confondendo i lettori sulla causa dell’innesco. Se non ci credete, guardate qui cosa è riuscito a combinare un quotidiano come l’Unità.
Uomini, donne e un bambino ustionati solo su viso e arti superiori, non sono morti per un incendio. Sono stati assassinati nel silenzio e nell’indifferenza, mentre fuori andavano in scena canti di gloria e inni gioiosi alla vista delle bandiere Ucraine sventolate dalle finestre della stessa casa dei sindacati. Una donna incinta strangolata con il cavo del telefono, non è certamente morta per un incendio. Queste immagini fanno accapponare la pelle, si può sentire chiaramente una donna gridare disperatamente aiuto dall’interno del palazzo. Quando si parla di strage di Odessa, ci si riferisce a questo.
Questa è la nazione che soltanto tre anni fa si apprestava a fare il suo ingresso nell’Unione Europea. Non è finita qui però. Non è bastato il dolore straziante patito da una grossa parte della popolazione di Odessa, mancava ancora la beffa. Durante ogni anniversario della tragedia infatti, lunedì scorso come due anni fa, migliaia tra neonazisti e forze di polizia si riversano in città per impedire ai parenti delle vittime di commemorare adeguatamente i propri morti. Quest’anno la scusa per riempire il centro cittadino di forze dell’ordine è stato un falso allarme bomba: una busta piena di granate abbandonate in un angolo della città. Queste immagini testimoniano il dolore dei cittadini filorussi di Odessa, incapaci di avvicinarsi al luogo dell’eccidio data la massiccia presenza di polizia a suo presidio. Sono per la maggior parte donne anziane che non cercano in alcun modo lo scontro e che sono costrette a depositare i propri fiori ai piedi di chi, ventiquattro mesi fa, si macchiò di criminale omertà.
Quello che avete visto fa venire i brividi, fa riflettere. Pensare che fonti non governative ritengano che le vittime del 2 maggio siano più di 300 non migliora le cose: testimonianze raccontano storie orrende in merito alle cantine della casa dei sindacati, si dice che il vero dramma sia avvenuto lì, nascosto nelle ore successive con lo stucco applicato sui fori da proiettile nelle mura dell’edificio e con una muratura permanente di tutto il piano inferiore. Certezze, ripeto ancora una volta, non ce ne sono.
Anzi una in realtà esiste: secondo il report Onu sulla strage di Odessa pubblicato il 15 giugno del 2014 le morti accertate sarebbero 42, di cui 32 causate dall’incendio e 10 dai disperati tentativi di saltare dal palazzo. Limitiamoci a confrontare questi dati con le immagini, lasciando a ognuno la libertà di orientarsi sui fatti del 2 maggio 2014: certo è che intorno alla strage di Odessa c’è qualcosa di più rispetto a semplice puzza di bruciato.
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