Rosso Profondo al Teatro Millelire

“In questa vita non è difficile morire. Vivere, è di gran lunga più difficile”. Con queste parole di Majakovski si conclude il viaggio, tanto fulmineo quanto intrigante, della vita di un Presidente del consiglio, diretto e interpretato da Domenico Clemente. Fino al 3 novembre è in scena al Millelire capitolino Rosso Profondo, un monologo intenso e accattivante, una produzione TeatroInsieme.

È la storia dell’improvvisa e misteriosa scomparsa di un Presidente del Consiglio, neoeletto. Un uomo umile, bassetto, padre di famiglia, elegantemente vestito di grigio, dello stesso colore dei suoi capelli. Lo stesso giorno del suo insediamento riceve la notizia che una grave malattia non gli lascia che pochi mesi di vita. Ecco che, anziché abbattersi, rinchiudendosi nel suo dolore o nel calore della sua casa, decide coraggiosamente di scendere letteralmente tra il popolo, per parlargli, senza intermediari, per ascoltare i loro bisogni e le loro paure. Ecco che per la prima volta un Presidente annullerà la distanza tra il palazzo e i cittadini, per mettersi al loro livello, nel tentativo di realizzare, per il tempo che gli resta, i desideri che aveva fin da ragazzo e che, nonostante la fama e il potere acquisiti, non lo hanno mai abbandonato. Come ricorderà egli stesso: “Dopo decenni passati a misurare parole e pensieri, era un sollievo poter dire la verità”. {ads1}

 Sarà un susseguirsi di conversazioni multiple, una corale di interventi: bambini, adulti, ministri, avversari politici, gente comune. Tutti accumunati da una stessa, vibrante, voce: quella di Domenico Clemente, che di questo spettacolo ha curato la regia oltre che la recitazione. Un bagaglio consistente alle spalle che va da Tutte queste esperienze lo hanno reso un attore a tutto tondo, che è riuscito a tenere deste l’attenzione e l’interesse del pubblico con un monologo di più di un’ora e con una scenografia essenziale, dei toni del grigio e del rosso. Un rosso profondo, come cita il titolo dell’opera, che ritroviamo nella poltrona presidenziale e nel cuscino di un trono posto sul fondo della scena, quasi a ricordare il tribunale dell’inquisizione. L’essenzialità tuttavia viene soppiantata dalle atmosfere che lo stesso attore riesce a ricreare, che ci catapultano di colpo da Roma a Trieste, fino ad arrivare alla Chicago dei gangster, come vengono assimilati i suoi avversari politici. Non sapremo mai a quale Presidente del Consiglio si riferisca Clemente, se si sia ispirato a qualcuno in particolare o piuttosto si tratti di un insieme di diverse caratteristiche attribuite ai vari premier che si sono susseguiti nel nostro paese. Solo qualche dettaglio ci viene riferito dalle sue parole, come un tenero soprannome, “Carletto”, che gli veniva affibbiato da qualcuno di più anziano, oltre alla sua elevata cultura e la passione per le poesie, non solo di Majakovski. Una vicenda certamente immaginaria, drammatica ma al contempo piena di speranza e attualità perchè così vicina al momento politico che stiamo attraversando.

 

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