Abbraccialo per me, la disabilità tra falso pietismo e “troppo amore”
Un piccolo borgo siciliano, con i suoi ritmi e la sua miopia, le sue giornate scandite dalla processione in omaggio al Santo Patrono ed il suo parroco demotivato, l’anziana contessa da omaggiare senza sincerità ed i nasi annoiati degli abitanti che spuntano fuori dalle finestre bagnate dal sole. E poi lui, Ciccio, la creatività delirante, l’eccezione incontenibile alla regola, il suono frastornante della batteria alle undici della notte, una testa incontenibile che viaggia per conto suo, la disabilità intellettiva. In mezzo, una madre che difende il proprio figlio dagli attacchi del falso pietismo. La mamma che lo abbraccia per tutti e che forse lo abbraccia troppo. Perché se per tutti Ciccio è un ragazzo strano, per lei è “il più bel bambino del mondo”.
Questo è Abbraccialo per me, il nuovo ed ultimo – almeno a suo dire, almeno per oggi – film del regista siciliano Vittorio Sindoni, stavolta alle prese tra due fuochi che sono facce della stessa medaglia, quella della disabilità: da una parte il bigottismo provinciale di chi, di fronte al disagio, storce il naso in preda alla paura inconscia, e nei casi migliori volge il capo dall’altra parte, dall’altra l’eccessivo senso di protezione di una madre, un sentimento che presto diviene gelosia offuscata dall’imbarazzo, sino a trasformarsi in “troppo amore”.
È proprio per questo che dal 21 aprile siamo chiamati a sedere in platea al cinema. Per prendere le distanze tra due poli, e per accorciare la strada tra noi e il quotidiano carico di dolore, speranza e colore delle famiglie scosse dalla malattia mentale, per rendere consapevoli i nostri timori inconsci. Ed ancora, per apprezzare il lavoro straordinario di un giovane attore come Moisè Curia, qui nei panni del figlio di una Stefania Rocca che per la prima volta parla siciliano. “Per imparare ad abbattere le nostre barriere mentali ed architettoniche, con una carezza ed un sorriso, quando la prossima volta incontreremo una mamma come Caterina ed un ragazzo come Ciccio“, chiosa Sindoni. Perché, insomma, in paese non ci siano più bambini soprannominati “Ciccio Tamburo” ma solo Francesco Gioffredi, magari stavolta su un bel palcoscenico dietro la propria batteria.
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