PiladeDopo Porcile arriva al Teatro Vascello un altro dramma di Pier Paolo Pasolini: Pilade, scritto tra il 1966 e il 1970, sarà in scena fino al 1 maggio per la regia di Daniele Salvo. Continuazione ideale dell’Orestea di Eschilo, Pilade ne riprende i personaggi reinterpretandoli in chiave moderna, intrecciando l’antico con le suggestioni della modernità novecentesca e utilizzando gli archetipi classici come potente metafora della contemporaneità. Il dramma di Pasolini inizia dove la tragedia di Eschilo si conclude: con Oreste che, assolto da Atena per l’assassinio della madre Clitennestra e di Egisto – rei di aver ucciso, a loro volta, il re di Argo e padre di Oreste, Agamennone – torna nella città insieme all’amico Pilade. Qui instaurerà il culto di Atena, ovvero della ragione, rinunciando al ruolo di sovrano assoluto e trainando la città verso una nuova forma di governo democratico. Nell’Orestea eschiliana Pasolini rileva un’affinità ideale con le vicende dell’Italia post-bellica e con le sue radicali trasformazioni politiche e sociali.

Pilade intende rileggere il classico greco per raccontare l’ascesa capitalistica e il gigantesco carico di disuguaglianze e squilibri sociali che ne conseguono. Mentre il governo della ragione borghese ne resta per lo più insensibile, sarà Pilade l’unico a schierarsi dalla parte degli ultimi facendosi promotore della rivoluzione proletaria e sfidando il potere dagli occhi miopi di Oreste. Ragione e irrazionalità, tradizione e modernità sono gli opposti che provocano una frattura insanabile e dividono i due personaggi protagonisti: per Oreste tutto si muove esclusivamente in direzione del futuro, mentre per Pilade “la più grande attrazione di ognuno di noi è verso il passato”. Dramma ostico e di difficile interpretazione, Pilade è perfettamente in linea con la concezione innovativa del teatro pasoliniano, pensato soprattutto per essere luogo di confronto ideologico e culturale con lo spettatore. Nel personaggio di Pilade, soprattutto, Pasolini riversa sé stesso, affidandogli il ruolo dell’intellettuale escluso, destinato alla diversità e dunque all’emarginazione. Il lavoro del regista Daniele Salvo e della compagnia La Fabbrica dell’Attore è monumentale: portare in scena un testo che si regge interamente sulla densità dei dialoghi è operazione tutt’altro che agevole.

PiladeNella stesura di Pilade è protagonista il Pasolini poeta, ma la problematicità dei temi trattati rendono lo spettacolo poco immediato e difficile, nonostante il grande trasporto degli attori e l’incredibile lavoro sulla recitazione, capace di raggiungere vette emotive altissime. Lo spettatore è messo di fronte a un teatro di parola e di poesia, privo, secondo lo stesso Pasolini, di ogni attrazione mondana: “il suo unico interesse è l’interesse culturale, comune all’autore, agli attori e agli spettatori; che dunque, quando si radunano compiono un rito culturale”. In questo groviglio di significati Pasolini costruisce un’unica certezza: quella della ferocia del potere, sordo e incurante di tutto fuorché di sé stesso, qualsiasi sia la sua natura. Non si può far altro che accettarne il prezzo, o, come fa Pilade, lanciare un grido disperato, solitario, sempre attuale.

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