Comunità Lgbt: primo “no” ai matrimoni omosessuali in Cina

Con grande delusione della comunità Lgbt, arriva il primo “no” ai matrimoni omosessuali in Cina. Il tribunale di Changsha, nella Provincia di Hunan, ha respinto la causa intentata da una coppia omosessuale nei confronti di un ufficio dell’amministrazione locale che si è rifiutato di emettere un regolare certificato di matrimonio per i due uomini. Sun Wenlin, 27 anni, e il compagno Hu Mingliang, 37 anni, hanno fatto causa alle autorità cittadine di Changsha che hanno respinto la loro richiesta. Per la prima volta in Cina, a gennaio un tribunale distrettuale aveva accettato di prendere in considerazione il loro caso, ma adesso la causa è stata bocciata. Shi Funong, l’avvocato dei due ragazzi, uscito dal tribunale ha dichiarato: «Anche se non abbiamo vinto oggi, vinceremo in futuro». La coppia, infatti, ha già deciso di ricorrere in appello, mentre secondo il tribunale la loro unione non può essere riconosciuta come un ‘matrimonio’. La sentenza-lampo, arrivata a poche ore dall’inizio dello stesso processo, è stata accolta come una sorpresa per la rapidità del verdetto anche dall’avvocato della coppia. Le soprese, però, non sono state tutte negative: nei pressi del tribunale, infatti, si sono radunate circa trecento persone a sostegno della coppia.

In una società in cui i diritti della comunità Lgbt faticano ad affermarsi, questa causa è senza dubbio un evento storico, che si unisce a una serie di piccoli passi avanti verso l’affermazione dei diritti. A fine 2014 un tribunale di Pechino ha sentenziato che «l’omosessualità non è una malattia mentale e come tale non può essere curata». Dopo neanche un mese, la corte di Shenzhen si è confrontata con il primo caso di discriminazione sessuale sul lavoro, affrontando la causa di un ragazzo licenziato dopo aver messo online un video in cui faceva coming out. La settimana scorsa, infine, si è tenuto il primo processo per discriminazione sul luogo di lavoro intentata da un ex dipendente transgender di una società della sanità nel sud della Cina. L’uomo, di nome Chen, ha fatto causa all’azienda per il licenziamento causato,secondo la versione della società, da un abbigliamento non appropriato. L’uomo ha chiesto un risarcimento di duemila yuan (poco più di 270 euro) e una lettera di scuse ufficiali da parte dell’azienda. La sentenza è attesa per le prossime settimane.

Se in Cina si intravede una piccola apertura verso la comunità Lgbt, altri Paesi rimangono irremovibili sulle proprie posizioni violente nei confronti degli omosessuali. è il caso dell’Iran, Paese che ha ricevuto la visita del Presidente Renzi nei giorni scorsi, dove l’omosessualità è punita con la pena di morte. In questi giorni gli steward omosessuali di Air France hanno chiesto di poter essere esonerati dalla tratta Parigi-Teheran, che sarà ripristinata nei prossimi giorni. Nella raccolta firme di Change.org lanciata dallo steward Laurent M. si legge: «Certo, l’omosessualità non viene segnalata sui documenti né cambia il modo di lavorare dell’equipaggio, ma per ragioni tanto morali quanto umane è inconcepibile costringere qualcuno ad andare in un Paese dove i suoi simili sono condannati per quello che sono». L’azienda per il momento non sembra volere accontentare la richiesta e Flore Arrighi, presidente della sezione dell’Unione del personale navigante dell’aviazione civile (Unac) presso Air France, ha affermato di non essere a conoscenza della raccolta firme e ha sottolineato che la «domanda di potersi sottrarre a questi viaggi è stata affrontata dall’intero personale della compagnia, senza discriminazione di sesso e orientamento sessuale».

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