Matrimoni gay, il gran rifiuto della Cina
E’ accaduto in Cina, a Changsha, capoluogo dell’Hunan, una località situata nell’entroterra, dove una coppia gay intenzionata a convolare a nozze, si è vista negare il diritto di sposarsi. Un tribunale cittadino infatti ha respinto la richiesta di matrimonio dei due innamorati, poiché in Cina l’omosessualità non è ben vista, ed è ancora considerata come una delle molteplici espressioni della “decadenza dei costumi” tipica dell’Occidente. La Repubblica Popolare Cinese è ancora lontana dalla svolta culturale per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali, e i matrimoni gay sono ancora un’utopia in alcune parti del mondo. Fino al 1997 il Governo Cinese riteneva che essere gay fosse un reato punibile per legge. Fino al 2001 l’omosessualità in Cina era ancora considerata una malattia mentale, che doveva essere curata ed estirpata in quanto vista come “male sociale”. Nel 2001 si verificò un evento importante: un ragazzo di nome Yang Teng, giunto in una clinica, fu sottoposto ad ipnosi e ad elettroshock, perché i medici credevano di poter curare la sua omosessualità, ritenendola appunto una malattia. A questo punto accadde che, alla fine del 2014, la corte di Pechino emise una sentenza epocale, che proclamava che l’omosessualità non era un disturbo mentale e che non era passibile di cure. Questo fu un risultato straordinario, la clinica fu condannata al risarcimento danni, con l’accusa di aver curato una malattia inesistente, senza averne il minimo diritto. La notizia fece il giro del mondo. Ad oggi i pregiudizi non sono stati eliminati, non soltanto in Cina, ma nel resto del mondo, in quanto il problema è di natura culturale e, prima di dover combattere contro il potere costituito, bisogna combattere in casa propria. E’ una lotta lunga e dolorosa quella che mira al superamento dei pregiudizi e all’acquisizione dei diritti umani, al poter accettare con gioia i matrimoni gay. Una cosa è certa, ne abbiamo ancora tanta di strada da fare.
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