Undici Metri, e la chiamano lotteria dei rigori…
Undici metri – Arte e psicologia del calcio di rigore dell’inglese Ben Lyttleton è un libro sorprendente. Sorprendente perché non è sicuramente facile riempire 400 pagine col solo argomento “calci di rigore”. E li analizza anche statisticamente e tecnicamente. Il rischio di fare un mattone di cifre e tabelle è alto. E le cifre e le tabelle non mancano affatto. Ma c’è di più. Ci sono le storie. Ci sono i ricordi dei protagonisti. Ci sono un mucchio di aneddoti che rendono la lettura di Undici metri stranamente appassionante. Si presume che questa passione, che questo rende divertente l’argomento, sia dovuto essenzialmente a un fatto. Che l’Inghilterra in tutte le occasioni in cui si è trovata a dover andare a una sessione di calci di rigore ai mondiali, agli europei e in tutte le competizioni più importanti, negli ultimi 20 anni abbondanti, ha sempre perso. E questo all’inglesissimo autore non è andato giù. La cosa è evidente e per passione, per tifo e per spirito patrio, Lyttleton ha cercato la soluzione al problema della sua Nazionale. Non si sa poi, alla fine, se questa soluzione l’abbia trovata, ma nel leggere le interviste e i resoconti si arriva alla fine senza quasi accorgersene e in effetti qualcosa in più sul come batterli si impara. Decidere sempre prima dove tirare e non cambiare idea, non tirare di fretta, non guardare negli occhi i portieri , che sopratutto alcuni sembra abbiano la capacità di ipnotizzare chi calcia, fare un bel respiro e via dicendo. Così come è importante ciò che fanno i compagni che restano a centrocampo, come esultano o come consolano chi ha sbagliato. E si scopre anche che, statisticamente, nelle occasioni importanti,i calciatori più importanti, più famosi, più titolati, sbagliano di più. E ci sono giocatori che non si sono mai ripresi dall’aver sbagliato il rigore decisivo. Lyttleton li intervista tutti. E tutti parlano di quel momento magico. Che sarebbe teoricamente anche facile. La porta è così grande, come si fa a sbagliare? Il problema, evidentemente, non è tecnico ma solamente psicologico.
Ma la cosa sorprendente è l’affascinante storia dei rigori. Anche perché le sessioni per decidere le partite con i rigori sono una cosa abbastanza recente e ben tre nazioni ne rivendicano la paternità. E hanno tutti ragione. Nel senso che in tutti e tre i casi si ignorava che altri lo avessero già fatto (anche se poi sembra proprio che il primato vada a Israele). Ma si scopre anche una stranissima regola olandese che è stata in vigore fino agli anni ’60. E cioè che in caso di proteste per una decisione importante, ad esempio un goal in fuorigioco, un’espulsione affrettata, cose simili, la squadra danneggiata aveva l’opportunità di presentare all’arbitro le proprie ragioni ma solo a fine partita e solo se alla fine di tutto riusciva a segnare un rigore. Una regola assurda sicuramente, ma che è durata moltissimo. O che in Brasile (che contende a Israele la paternità delle sessioni a fine gara) prima che venisse adottato l’attuale sistema, vinceva chi aveva tirato più calci d’angolo. Poi quando per la prima volta vennero tirati i rigori questo sistema venne ritenuto antisportivo, molti continuavano a preferire i calci d’angolo. C’è la storia dell’inventore del cucchiaio, che non è Totti, ma Panenka, e che Panenka inventò quel sistema di tirare dagli undici metri per sfida con un suo compagno di squadra. Scommettevano tutte le settimane, lui tirava e il portiere, in teoria, doveva parare. E così inventò lo “scavetto” semplicemente perchè era il modo di segnare più efficace. Cosa si giocavano? Cioccolata. E sembra che Panenka ingrassò parecchio. E ci sono poi le testimonianze di quelli che dopo di lui lo hanno adottato, da Totti a Zidane, passando per Pirlo (contro l’Inghilterra, per il dispiacere dell’autore). Ci sono rigori tirati di testa o di seconda, come hanno fatto di recente Messi e Suarez, ma l’origine è molto più antica. E anche gli altri eroi, i portieri, a partire da Ducadam della Steaua Bucarest che parò tutti i rigori del Barcellona in una finale di Coppa dei Campioni (ancora si chiamava così), passando per il Goicoechea che ci fece piangere ai mondiali di Italia ’90. I portieri sono sicuramente molto avvantaggiati psicologicamente. L’attaccante che sbaglia è il colpevole, il portiere che non para il tiro dal dischetto non viene mai messo sul banco degli imputati ma se para è un eroe.
Per concludere decisamente per gli appassionati di calcio “Undici metri“un libro interessante, sia per chi pratica che per chi, e siamo la maggior parte, che lo guardano.