IL LICENZIAMENTO GIUSTIFICATO

Provare la mancanza del posto e l’impossibilità di ricollocare il dipendente può giustificare il licenziamento.
Lo ha ribadito la Cassazione che, con la sentenza 16987, ha deciso sul caso della segretaria di uno studio professionale licenziata dopo la perdita di un importante cliente.

Sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello avevano dichiarato l’illegittimità del recesso, perché il professionista non aveva provato in quale modo la perdita del cliente avesse inciso sull’attività dello studio o, comunque, avesse determinato un riassetto organizzativo.
I giudici della Suprema Corte confermano la decisione, poiché il datore di lavoro non era stato in grado di dimostrare in giudizio l’impossibilità di una diversa collocazione della dipendente nell’organizzazione aziendale. In sostanza il professionista non è tenuto a documentare i criteri di gestione dello studio, ovvero il fatto di sopprimere il posto di lavoro e di assegnare le mansioni di segreteria ai praticanti dello studio. Secondo un costante insegnamento della giurisprudenza, però, il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è legittimo nella misura in cui è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore.
Soppressione che non può però essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti. Quindi, il lavoratore ha il diritto che il datore di lavoro provi la concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non da un mero incremento di profitti. Del resto, conclude la Suprema Corte, l’azienda deve dimostrare anche l’impossibilità di utilizzare il lavoratore in mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale. Così, mentre la prova sull’andamento dell’attività produttiva o la modifica strutturale, logistica e organizzativa dell’azienda non incontra particolari difficoltà, la dimostrazione della impossibilità di ricollocare il dipendente mostra profili più problematici.
In particolare, la prova, in quest’ultimo caso, si estende a tutta la struttura dell’impresa, alle unità produttive e, secondo parte della giurisprudenza, anche ad eventuali società collegate componenti il gruppo.
Inoltre, il tentativo di repechage non deve implicare per il datore di lavoro la sopportazione di un maggior costo, perché l’azienda non è tenuta a creare nuove posizioni lavorative o a modificare la propria organizzazione interna.

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