Salvo Riina a Porta a Porta: mio papà un eroe

Salvo Riina, ieri sera, suona il campanello di Porta a Porta, pentimento e scuse? No promozione del suo libro: Riina Family Life.
Era il 1992, “papà preparava la postazione sul divano solo per noi due, con un vassoio di biscotti preparato per l’occasione e due sedie piazzate a mo’ di poggiapiedi, passammo notti intere a seguire l’American’s Cup, io non avevo ancora compiuto 15 anni, lui, Totò Riina, era il mio eroe.”
Era il 1992, nelle stragi di Capaci e via D’Amelio perdevano la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con loro tanti innocenti, il premuroso papà Riina, era uno dei mandanti.

Salvo Riina, come viene spiegato e giustificato sul sito della Anordest, la casa editrice che ha deciso di pubblicare l’autobiografia, “comunque ha sentito il bisogno di scrivere questo libro, non per contestare le varie condanne dei giudici, ma per descrivere dall’interno la sua famiglia, per mostrare le dinamiche che si sviluppano in una famiglia in cui i figli, appena adolescenti, sanno che il loro padre si chiama Giuseppe Bellomo e di professione fa il geometra, che non possono frequentare nessun tipo di scuola, che più volte all’anno cambiano casa, e che tutti rispettano, dovunque vadano ad abitare, questo strano geometra. E questo fino al gennaio del 1993, quando Totò Riina viene catturato. Ha inizio così la presa di coscienza di chi sia effettivamente stato il loro padre, iniziano a rendersi conto di quanto sia difficile vivere essendo seguiti passo passo dalle forze dell’ordine e quanto sia arduo, se non impossibile, cercare una propria strada con quel cognome che si ritrovano.”
Così arduo che Giovanni il secondogenito sta scontando l’ergastolo come suo papà Totò, e il più piccolo Salvo Riina, ora “scrittore” ha da poco terminato di scontare la pena di 8 anni e due mesi per associazione mafiosa, presupposti da cogliere al volo per un invito nel salotto della rai.

La promo tutta pena e sentimento, non può in alcun modo neanche per un istante, annebbiare la memoria di chi non avendo ricevuto nessuna carezza dal Capo dei Capi, ha assistito, rabbrividito e pianto per la perdita di un patrimonio umano di inestimabile dignità e verità, per la perdita di una rara lotta contro la testa mafiosa che mai si china, neanche quando dopo aver sbagliato e affrontato la riabilitazione della nostra docile pena italiana, torna alla carica non per chiedere scusa ma per promuovere l’intimità del focolare di casa Riina.

Questo tale vergognoso paradosso, accolto per audience dal portinaio Bruno Vespa, proverà ad essere mascherato dal diritto di informazione, dalla libertà di parola e di pensiero, da quella di stampa, dai diritti inviolabili della Costituzione, la nostra bella carta che la mafia, i potenti, i soldi e il loro connubio calpestano e strumentalizzano.

Non è informazione conoscere i dettagli del rapporto padre-figlio di cosa nostra, la mafia non deve avere diritto di parola, a volte, alcuni pensieri così pregni di nauseabonda viltà, dovrebbero essere censurati all’origine per rispetto di chi non può più pensare nè parlare per brutale volontà altrui, ma è ben noto che ” Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”, questa è la nostra RESISTENZA.