Il ministro Boschi e i petrolieri di Tempa Rossa

Le dimissioni del ministro Federica Guidi e le accuse al ministro Boschi, la difesa di Matteo Renzi: è così che le inchieste Tempa Rossa prima e Petrolio poi mettono in difficoltà l’Esecutivo proprio all’alba di un referendum popolare sulle trivellazioni che accende il dibattito sulle estrazioni petrolifere in Italia.

 

Due inchieste che si intrecciano a Potenza, ormai centro del dibattito su un tema caldo come quello delle trivellazioni petrolifere, oggetto del prossimo referendum popolare il 17 aprile. Due inchieste, quella definita Tempa Rossa che ha portato alla condanna dei vertici di Total per concussione, abuso d’ufficio, turbativa d’asta, concussione, favoreggiamento e truffa aggravata; l’altra denominata Petrolio, quasi a rievocare un romanzo di pasoliniana memoria. È proprio a seguito di “Petrolio” che il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi è stata costretta alle dimissioni mentre il ministro delle Riforme costituzionali Maria Elena Boschi è stata sentita per due ore dai magistrati potentini. Nel mirino della Procura di Potenza un emendamento approvato in legge di stabilità che sbloccava interventi strutturali sulle estrazioni petrolifere in Val D’Agri, lo stesso emendamento oggetto della discussa telefonata intercettata della ministra Guidi al suo compagno Gianluca Gemelli. L’ipotesi accusatoria è che il Governo abbia concorso a favorire il progetto petrolifero Tempa Rossa i cui lavori di sub appalto erano affidati proprio al compagno della Guidi, Gianluca Gemelli.

La storia del provvedimento, infatti, è alquanto travagliata: passato al vaglio della commissione Ambiente e Attività produttive di Montecitorio tra il 16 e il 17 aprile 2014 e firmato dalla stessa Guidi, venne dichiarato inammissibile grazie ad un intervento della parlamentare 5 Stelle Mirella Liuzzi. Un cammino però che non si ferma lì, sarà infatti la legge di stabilità tra il 12 e 13 dicembre 2014 a recepirlo e la commissione Bilancio in Senato ad approvarlo grazie all’intervento miracoloso del ministro Maria Elena Boschi. Modalità notturna in entrambi i casi, ma soprattutto notevoli ripercussioni ambientali laddove il progetto Tempa Rossa, che ha già avuto una valutazione positiva di impatto ambientale nel 2011, aumenta sì la produzione nazionale di greggio ma implica che questo debba essere trasportato nella già martoriata Taranto, in un impianto Eni, per essere stoccato e raffinato. Per capire i danni da inquinamento, basta sentire le motivazioni addotte da Arpa Puglia sull’argomento, nel 2011: «L’esercizio di questi impianti comporterà un aumento delle emissioni diffuse pari a 10 tonnellate/anno che si aggiungeranno alle 85 tonnellate/anno già prodotte (con un incremento del 12%)», in pratica l’inquinamento dell’aria tarantina sarebbe ancora maggiore.

 

Matteo Renzi difende l’operato del Governo e del ministro Boschi, sostenendo la sua classica linea interventista su Rai3: «Dico alla magistratura italiana di fare in fretta. Se è reato sbloccare opere pubbliche, io lo sto commettendo – aggoingendo – se vogliono votiamo la legge sul conflitto di interessi. Il governo delle lobby lo dicano a qualcun altro. È mio compito istituzionale che un’opera bloccata da anni arrivi a realizzazione». Intanto il Codacons ha presentato un esposto ai pm di Potenza per far estendere le indagini e verificare le responsabilità del ministro Boschi. Anche sul fronte delle opposizioni il clima si accende, in primis nel Movimento 5 stelle e in Forza Italia. I primi lanciano l’hashtag #Boschifacceride legando le odierne vicende al caso Banca Etruria, e sul blog di Beppe Grillo così si legge: «Tu eri azionista, tuo padre vicepresidente, tuo fratello dipendente, la moglie di tuo fratello pure, il giudice tuo consulente, non sei un ministro sei un conflitto d’interesse ambulante».

@FedericaGubinel

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