Il Colloquio al Teatro Studio Uno, intervista a Virginia Acqua
Il Colloquio (il titolo originale è “La Gueule de l’emploi”) è una commedia sociale di Serge Da Silva, autore francese il quale, nel 2014, ha debuttato al Théâtre Mélo D’Amélie di Parigi, ottenendo uno straordinario successo di pubblico e critica. La tematica affrontata è quella della disoccupazione giovanile, ai tempi della crisi europea. Il Colloquio ha varcato i confini francesi ed è approdato al Teatro Studio Uno di Roma, grazie al prezioso contributo di Virginia Acqua, la quale ha il merito di aver tradotto la sceneggiatura in italiano e di averne curato la regia. L’intera scena si svolge nella sala d’attesa di una banca dove tre giovani disoccupati, di diversa estrazione sociale, interpretati da tre giovani attori di talento, Ermenegildo Marciante, Luca Basile, Tommaso Arnaldi, si incontrano in attesa del famigerato colloquio di lavoro. I tre entrano inevitabilmente in competizione, ed ognuno cerca di prevalere sull’altro per aggiudicarsi l’unico posto disponibile. In un attimo la situazione degenera fino a diventare una “guerra tra poveri”. E’ una commedia feroce e dissacrante che tratta con ironia, potenza e sarcasmo il tema della disoccupazione giovanile, uno dei mali peggiori del nostro secolo. Abbiamo intervistato la regista Virginia Acqua. A lei la parola.
Visto il trionfo a Parigi de “La Gueule de l’emploi” (“Il Colloquio”), come è maturata la decisione di tradurre questa commedia dal francese all’italiano?
Sono andata da spettatrice a Parigi in questo teatro perché mi aveva incuriosito la trama, in quanto parlava della ricerca di lavoro, di un colloquio ai fini dell’assunzione. Il fatto di essere giudicati da qualcuno, l’attesa che precede un colloquio, viene trattato in questa commedia in modo profondo, reale, divertente, al punto che mi ci sono riconosciuta tantissimo, ed ho riso delle mie debolezze. L’ho trovata subito nostra, sembrava scritta per noi italiani. La cosa più bella è che il pubblico ci si riconosce e, al di là delle risate, quando finisce lo spettacolo, si accende il dibattito. Così ho chiesto all’autore, che era anche interprete, di poter tradurre la sua commedia, al fine di renderla fruibile in Italia, e lui ha acconsentito con immenso piacere.
La traduzione del testo è stata letterale o sono stati necessari degli adattamenti?
Il testo de Il Colloquio è scritto molto bene, e poi è talmente applicabile a noi! Non traduco mai letteralmente, sono stati necessari dei piccoli adattamenti, come ad esempio, alcuni riferimenti locali ad un cantante francese che io ho trasformato in un cantante italiano. La difficoltà di tradurre per il teatro è che bisogna pensare che sono parole che vanno recitate. Bisogna rispettare il ritmo, il respiro nella battuta.
Questa commedia parla della crisi europea, della disoccupazione giovanile che cresce, del lavoro che non si trova. I personaggi arrivano ad autocommiserarsi o viene mantenuto un tono leggero?
No, Il Colloquio in sé riesce a mantenere sempre un tono leggero, ma le tematiche affrontate sono profonde. Questi tre personaggi sono all’ultima spiaggia, hanno dei problemi reali, bollette da pagare, mutui sulle spalle, conti in sospeso, inoltre hanno sostenuto moltissimi colloqui e questo è l’ultimo. Senza volerlo si trovano in guerra l’uno contro l’altro. E’ una commedia che ci fa capire come a volte il mondo ci costringa, nostro malgrado, ad essere in competizione, in una “guerra tra poveri”, con persone che, in una situazione di normalità e non di indigenza, non lo farebbero mai. La cosa che mi ha colpita di più è che tutto questo viene rappresentato con sarcasmo, ironia, insegnandoci a sorridere anche nei momenti di difficoltà.
La crisi economica degli ultimi anni ha portato i giovani ad essere più solidali tra di loro o, al contrario, il motto è diventato “mors tua, vita mea”?
In questa commedia non c’è un cattivo, anche se a prima vista sembrerebbe di sì. I protagonisti sono tre brave persone, che però si trovano alla resa dei conti, con un solo posto di lavoro disponibile, ed è guerra. Magari fuori sarebbero stati amici, avrebbero combattuto le stesse battaglie però poi, quando ti trovi lì, e non hai altra scelta, o tu o io, invece di scattare la solidarietà, si avvia una lotta. Quindi sì, “mors tua, vita mea”, purtroppo. Questa commedia è una denuncia sociale di quanto possa venir fuori, in determinati contesti, il lato peggiore anche di persone meravigliose.
Sono rappresentati tre tipi umani molto differenti, che hanno davvero poco in comune: il laureato, l’uomo medio e il palestrato. Perché?
Infatti, il primo è il laureato, preparatissimo, il più adatto a quel posto di lavoro in banca, colui che ha la “gueule de l’emploi” (la “faccia da bancario”), che però si trova in difficoltà tanto quanto gli altri. La crisi è talmente forte che ormai non basta più neanche il merito (e l’ha scritto un autore francese, non l’ho detto io!). Il secondo è il prototipo dell’uomo medio, senza grandi aspirazioni, ma che ha ugualmente lo stesso diritto di lavorare, come tutti. Il terzo invece è un tipo eccentrico, assolutamente inadatto al contesto bancario, un fanatico di arti marziali, vestito in un modo assurdo, eppure anche lui ha delle doti nascoste. Sono tre tipi in cui ciascuno di noi può riconoscersi.
Quindi questi tre personaggi, nonostante siano così diversi, sono uniti dalla crisi?
Alla fine loro sono uguali, la cosa bella è proprio questa, che la commedia fa capire che partono tutti dallo stesso punto, che ormai nessuno può sentirsi al sicuro, nemmeno quelli con un’ottima preparazione, e che ognuno deve giocarsi le sue carte.
C’è un messaggio di speranza in fondo?
La speranza sta nel capire che noi non dobbiamo diventare quello che le circostanze ci vogliono far diventare. La loro vera sconfitta è che si fanno fagocitare da questo sistema che li vuole l’uno contro l’altro. Almeno qualcosa rimane a chi ha il coraggio di rimanere se stesso, perché se ti tolgono anche la tua identità, la tua dignità, i tuoi valori, non ti resta davvero più niente. Il messaggio de Il Colloquio è proprio questo, che l’unica cosa che ci resta siamo noi stessi.
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