Tim Howard torna in MLS dopo 12 anni

Il portiere dell’Everton Tim Howard , dopo 10 anni in maglia Everton lascerà l’Inghilterra a fine anno per tornare “a casa”. Ieri ha infatti annunciato che il prossimo anno giocherà in MLS con i Colorado Rapids, tornando dopo dodici anni negli Stati Uniti.
Una carriera europea quella di Howard vissuta tutta nel Regno Unito. Prima con la maglia del Manchester United nel triennio 2003-2006, dove ha vissuto la fase di passaggio tra il grande United dei primi anni duemila e quello dominante con Cristiano Ronaldo. Anche nel suo ruolo c’era una fase di transizione tra due grandi epoche: quella dopo Fabien Barthez e prima di Van Der Sar. Tre anni conditi da 45 presenze in maglia Red Devils, con i quali però non vincerà mai la Premier League, ma solamente una FA Cup, una Coppa di Lega e un Community Shield, gli unici allori della carriera.
Nel 2006 accetta la chiamata dell’Everton e proprio in maglia Toffees si toglierà le maggiori soddisfazioni. Dieci anni sulle rive della Mersey ne fanno il recordman della squadra per presenze in Premier League (412) e lo innalzano per anni ad uno dei migliori portieri della lega. C’è anche un fatto curioso che ha segnato la sua carriera a Liverpool.  Il 4 gennaio 2012 contro il Bolton realizzò un gol direttamente dalla sua area, rinviando un retropassaggio di un suo compagno. Una scena insolita, che lo portò a non esultare per rispetto del portiere avversario. Ancora vive nei tifosi Toffees sono le immagini di un serioso Howard, assalito dai suoi compagni, ma dispiaciuto per la brutta figura fatta fare al collega ungherese  Bogdán.

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Una carriera in campo di tutto rispetto, ma quello che ha sempre stupito di Howard è stata la sua naturalezza nel convivere con la sindrome di Tourette. Sì, perché il gigante americano fin dall’infanzia ha dovuto combattere con questo disordine neurologico, caratterizzato da improvvisi tic motori e fonatori. Come se non bastassero le emozioni vissute nei campi di tutto il mondo, Big Tim ha dovuto sempre controllare queste esternazioni improvvise, molto spesso anche in campo. “Non ho mai contato quanti tic ho in una partita – ammise una volta in un’intervista allo Spiegel – Succede di continuo, senza alcun segno in anticipo, e aumenta con l’aumentare dell’importanza della partita”. Ma lui non l’ha mai visto come un handicap e nemmeno se ne è mai vergognato, anzi: “Non le reprimo mai. Anzi quando sono impegnato in un intervento sono sempre molto calmo. Non ho idea di come io ci riesca, neppure i miei dottori sanno spiegarmelo. Probabilmente perché in quel momento la mia concentrazione sulla partita è maggiore e più forte della sindrome di Tourette”.
Chiaramente la malattia non c’entra nulla con l’addio all’Everton. Sono le 37 primavere che iniziano a pesare sulle spalle possenti di Tim. Meglio tornare a casa e concludere la carriera alle pendici delle Montagne Rocciose. Ma il cuore rimarrà per sempre nella Liverpool Blues: “Questa per me è casa, sono cresciuto qui. E’ diventata senza dubbio la mia famiglia. Io rimarrò un ‘Evertonian’ per tutta la vita. Questa sarà sempre la mia squadra, il mio club”.