Referendum anti-trivelle: cosa si vota e perché?
Il referendum anti-trivelle si terrà tra non più di un mese e nessuno, o quasi, ne ha avuto notizia. La consultazione si terrà infatti il 17 Aprile, data stabilita ad inizio febbraio e dagli ultimi sondaggi risulta che quasi i due terzi degli aventi diritto al voto non sono minimamente informati a riguardo. Tra quelli che sanno dell’imminente referendum anti-trivelle, la maggioranza dichiara che voterà “Sì”. Ma cosa vuol dire votare sì? Barrando la casella del sì, si dà il consenso all’abrogazione del comma 17, terzo periodo, dell’articolo 6 del dlgs n.15 del 2006, limitatamente alle parole “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Barrando il No, ovviamente, la legge rimane così com’è. Lo scopo dei sostenitori del Referendum anti-trivelle è quello di porre un freno alla coltivazione di petrolio e metano nelle nostre acque territoriali, interrompendo la creazione di nuovi insediamenti e mantenendo quelli già esistenti solo fino al termine del mandato di concessione e non fino all’esaurimento dei pozzi stessi.
Questo referendum anti-trivelle è stato richiesto e sostenuto da 9 regioni – Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise – e da un’infinità di associazioni e gruppi non solo di stampo puramente ambientalistico. Tra i firmatari del comitato nazionale vota Sì per fermare le trivelle, infatti vi sono anche la FIOM, varie associazioni studentesche (UDU, UDS, Link), ci sono Libera, Slow Food Italia e moltissimi centri sociali sparsi nei territori. Le motivazioni profonde che hanno portato a chiedere un Referendum anti-trivelle le abbiamo analizzate approfonditamente in un’intervista a Augusto De Sanctis, consulente ambientale e coordinatore del forum abruzzese dei movimenti per l’acqua.
Come dichiarato più volte anche dai promotori stessi del Referendum anti-trivelle, il fatto di essere giunti a richiedere una consultazione popolare su un tema del genere, per un unico quesito referendario è un chiaro segno di come il Governo sia stato sordo alle tante voci e alle richieste di porre un freno alle trivellazioni in mare. In più, l’esecutivo non ha di certo messo in condizione i cittadini di essere informati adeguatamente su un tema che può risultare molto tecnico se non ci si limita ad un’analisi qualunquistica del problema. In appena 60 giorni i comitati per il Sì, come anche quelli per il No, dovrebbero spiegare agli italiani i rischi rappresentati dall’estrazione di petrolio e metano anche in condizioni che rispettino gli standard di sicurezza (noi ve lo abbiamo spiegato nella nostra intervista già citata). Tutto ciò però non appare affatto un caso.
Renzi ha infatti deliberatamente ignorato la richiesta dei comitati per il Sì di accorpare il Referendum anti-trivelle alle imminenti elezioni amministrative. Questo, come ormai noto a tutti, avrebbe fatto risparmiare milioni allo Stato, visti i costi rappresentati dall’indire una qualsiasi elezione che, oltretutto, si svolgerà in una sola giornata, quella di Domenica 17 Aprile. Unire il Referendum con le Amministrative avrebbe voluto dire quindi un risparmio per lo Stato e una notevole agevolazione per tutti quei cittadini che vogliono votare ma per cui recarsi alle urne due volte in pochi mesi potrebbe rappresentare una difficoltà. Chi studia o lavora all’estero o lontano dal proprio seggio potrà comunque recarsi presso il Comune di residenza grazie agli sconti che Trenitalia e Alitalia predisporranno come per ogni consultazione, oppure proporsi come rappresentanti di lista per i seggi ubicati nel Comune in cui si studia o si lavora.
Rimangono aperte alcune domande. Una fra tutte: perché in televisione non si parla di questo Referendum anti-trivelle e perché il governo Renzi starebbe ostacolando l’opera di sensibilizzazione dei cittadini su un tema così importante? Forse la risposta è da cercare in chi sostiene il No al referendum, ovvero le grandi lobby petrolifere, le aziende (per lo più multinazionali straniere) che fanno soldi speculando sul nostro territorio. Oltre a imbavagliare l’informazione sul tema fanno opera di vero e proprio terrorismo mediatico mettendo in giro argomentazioni infondate sulle conseguenze di una vittoria del Sì. In rete circolano voci secondo le quali, qualora la norma venisse abrogata, lo Stato perderebbe milioni derivanti dalla vendita del petrolio. Chi conosce l’argomento e conosce la condizione delle royalty italiane sa benissimo che noi il nostro petrolio già lo regaliamo alle aziende private. Lo Stato e ancora peggio le Regioni prendono delle briciole in confronto ai profitti che le aziende fanno sull’estrazione e la vendita delle nostre risorse. Si parla della perdita di centinaia di posti di lavoro, ma una vittoria del Sì impedirebbe la creazione di nuovi pozzi e il rinnovo infinito delle concessioni già concesse mentre i pozzi già esistenti continueranno a essere attivi finché non scadrà la loro concessione (come prevedeva la legge prima dell’introduzione del dlgs n.15 del 2006). Nessuna chiusura improvvisa, dunque. Nessun disastro, solo disinformazione. Vi lasciamo con un video risalente al 2011 in cui Dario Franceschini (PD) attaccava l’allora governo Berlusconi sulla decisione di non accorpare il Referendum sul legittimo impedimento con le elezioni amministrative: ‘Si fa questo – diceva Franceschini – per impedire di far raggiungere il quorum al referendum’.