Brasile: proteste in piazza, Lula torna in parlamento
Mentre il Venezuela è stretto nella morsa delle pressioni interne e internazionali, le opposizioni brasiliane alzano il tiro. La scorsa domenica più di un milione di persone hanno sfidato il governo di Dilma Roussef con un obiettivo preciso: abbattere Lula.
Per la prima volta dalla fine del 2014, quando sono cominciate le contestazioni di piazza contro la presidente Dilma Roussef, i partiti di opposizione hanno apertamente appoggiato le marce di protesta portando in piazza oltre un milione di persone in 400 città del paese. Sotto lo slogan «La nostra bandiera non sarà mai rossa» (come le bandiere del Partito dei Lavoratori) gruppi molto eterogenei – tra i quali non mancavano organizzazioni neonaziste – hanno sfilato per le strade del Brasile battendo il ferro dello scandalo dell’azienda petrolifera di Stato Petrobras che coinvolge rappresentanti di numerosi partiti e vede coinvolto anche l’ex presidente Lula.
Sebbene una commissione parlamentare incaricata di investigare sulla corruzione in Petrobras abbia assolto da ogni accusa sia Lula che Rousseff, l’obiettivo delle destre è dichiaratamente quello di far cadere il governo della Presidente per impeachment e affossare l’immagine dell’ex operaio e Presidente Inacio Lula da Silva, intenzionato a ricandidarsi alle elezioni del 2018.
E’ forse questa la notizia più rilevante degli ultimi giorni nel continente latinoamericano, la decisione di Lula, piuttosto inaspettata, di rimettersi in gioco in un momento tanto drammatico per il suo Paese e gli equilibri geopolitici che coinvolgono la regione. Il Brasile è uno dei membri di rilievo dei BRICS, se non il Paese chiave dell’intero Sud America, e centro nevralgico dell’economia dell’area. La sua permanenza nel bacino dei paesi socialisti o meno, pertanto, è fondamentale per la tenuta di tutti gli altri paesi: senza rapporti commerciali con il Brasile – perno ideale della riconversione economica che privilegia i rapporti Sud-Sud –, o con un inversione di rotta di stampo neoliberista al suo interno, le difficoltà per la via latinoamericana al socialismo potrebbero diventare insormontabili.
Specialmente in questo momento, in cui l’altro grande paese, il Venezuela, è letteralmente preso d’assalto da dentro (le destre in parlamento) e da fuori (le rinnovate sanzioni da parte statunitense), e Cuba annaspa in una fase di transizione dalle mille incognite, la mossa di Lula diventa fondamentale.Il 15 marzo, spiazzando tutti, l’ex presidente è entrato a far parte del governo di Dilma Roussef come ministro capo della segreteria della presidenza (l’equivalente del ministero per i rapporti con il parlamento italiano).
Il baratro è vicino, ma la battaglia è appena cominciata. Lula e Nicolas Maduro possono essere i paladini di una resistenza senza precedenti per difendere le conquiste che molti paesi dell’America Latina hanno pagato, letteralmente, con il sangue. E per impedire che l’intero continente torni a essere, come il caro Bernie Sanders ha rinfacciato a Hillary Clinton, il «cortile di casa» degli Stati Uniti.
Torna alla home di Lineadiretta24
Leggi altri articoli dello stesso autore
Nota:
Primo presidente di sinistra, primo operaio e primo senza un diploma universitario ad occupare la massima carica del Brasile, Luiz Inacio da Silva, detto Lula, è stato eletto per la prima volta nel 2002, e riconfermato per altri quattro anni nel 2006. Durante il suo governo Lula ha introdotto un programma di sovvenzioni per le famiglie più povere, il ‘Bolsa Familia‘, che ha strappato alla fame milioni di persone e contribuito a farlo diventare uno dei leader sudamericani più amati e popolari, sia in patria che all’estero.
Pochi giorni fa in Brasile, si sono compiuti 31 anni dal ritorno della democrazia, dopo la dittatura militare appoggiata dagli Usa, durata dal 1964 all’85.