O lui o me, ma io mi dimentico di me e mi perdo in lui

Altre due “Storie di donne morte ammazzate” sono state raccontate ieri sera al Teatro Lo Spazio, all’ombra della basilica di San Giovanni. Ad alternarsi sul palco Sylvia de Fanti e Stefania Papirio, interpreti dei testi di Betta Ciachini che attraverso centinaia di testimonianze raccolte da voce al dramma interiore delle vittime del cosiddetto femminicidio.

Viene da pensare che se le protagoniste dei due monologhi si fosse incontrate probabilmente qualcosa sarebbe andato storto nei piani dei rispettivi mariti. Nel nome del padre del figlio e dello spirito stalker e Mancato soccorso al pronto soccorso raccontano la solitudine e il senso di abbandono di donne lasciate sole a combattere il proprio tiranno, soggiogate a un senso del dovere imposto dalle convenzioni “una madre torna sempre a casa”, e al giudizio di genitori, amici, parenti incapaci di vedere oltre l’uscio dell’appartamento in cui si consuma la violenza domestica “almeno rimani per i tuoi figli”. Appartamenti che diventano prigioni, donne che diventano fantasmi di loro stesse, anime svuotate, trottole impazzite che vagano per le stanze alla ricerca di un’altra bugia da raccontarsi per salvare il proprio marito ai propri occhi, mariti spietati in cerca di un amore incondizionato e cieco: donne e uomini vittime e complici della stessa perversione. {ads1} Uno? Stalker? Chiamatelo come diavolo volete quello stronzo!” è lo sfogo alla polizia della donna raccontata da Sylvia de Fanti, la vittima che da bambina non ha mai conosciuto l’affetto dei propri genitori e che agognerà per tutta la vita il calore domestico che le è mancato con un pericoloso bisogno di amore, primo paradossale complice della sua morte. “Umiliata, sottomessa! Lui mi vuole così… ed io mi sento amata, ma sempre inappropriata!” Così la sottomissione è scambiata per passione, la possessività per accoglienza, l’ amore diventa mortificazione, ossessione malata e l’uomo diventa un padrone, un marito insaziabile che non ha mai fame della sua donna, ma la vive unicamente come necessario sfogo meschino di tutta la sua rabbia. L’assassino è un manipolatore che come in un progetto studiato a tavolino distrugge giorno dopo giorno la propria compagna, svuotandola della sua personalità, del lavoro, indipendenza, amicizie, autonomia, per il gusto di farne finalmente e unicamente la propria schiava. Il senso di colpa verso se stessa e i propri figli passa per i nervi tesi dell’attrice che nel candore di un abito da sposa ancora si costringe a tenere fede a quella promessa che ha significato per lei anni di interminabili violenze. Il suo amore è un film dell’orrore che uccide nel momento stesso in cui viene vissutoO lui o me…o lui o me…ma io sono già morta! Mi dimentico di me e mi perdo in lui“. Presto ci si abitua alla rassegnazione come ad una malattia, nell’inerte convinzione che quella sia l’ unica vita possibile: se poi, come insegna la vecchia zia di Donatella, interpretata da Stefania Papirio, “più lividi ti lascia, più è grande l’amore che prova per te“, è impensabile cercare una via di fuga. Donatella è la figlia dei tempi che stanno finendo, è la vittima di una persuasione tutta italiana che vede nell’ istituzione del matrimonio un dovere in cui annegare con dedizione, piuttosto che un progetto d’amore comune da costruire insieme.

Vicende talmente tragiche da prenderne le distanze, da non sentirle davvero nostre, ma che in misura più o meno ridotta si insinuano tra le storie di tutti, vista la commozione del pubblico: alcuni spettatori piangevano in sala, sintomo che piccole situazioni insostenibili sono tra di noi. In poltrona tra il pubblico uomini e donne in prevalenza giovani che sembrano far sperare in un passato da lasciarci alle spalle. Indubbiamente non è possibile insegnare ad innamorarsi della persona giusta, è la natura spontanea dell’amore a costituirne l’essenza stessa. Quella che si può insegnare è la strada giusta per chiedere aiuto, la differenza tra amore e sudditanza psicologica. Si può insegnare ai propri figli che sono tante le sfumature con cui un uomo può costruire se stesso, e che ci sono altri modi per essere uomini che non passano necessariamente per una maschera di virilità fatta di una cintura sfilata, sesso e botte.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *