Le Baccanti, Dionysus al Teatro Vascello
Dal 4 al 13 marzo 2016, il Teatro Vascello di Roma ha l’onore di ospitare uno spettacolo straordinario, “Dionysus, il dio nato due volte”, tratto da “Le Baccanti” di Euripide. Non si esagera nel ritenere che si tratti di un evento più unico che raro, di una rivisitazione molto ben calibrata della tragedia euripidea. Werner Jaeger, celebre filologo tedesco del XX secolo, a ragione considerò Euripide l’unico autore tragico, tra la triade dei tragediografi greci Eschilo, Sofocle, Euripide, che si poteva guardare negli occhi, il più attuale tra tutti, il più prossimo alla sensibilità umana, colui che meglio rappresentava l’uomo in tutte le epoche. Perché la scelta di mettere in scena Le Baccanti? Probabilmente perché è la sola tragedia greca capace di mettere a nudo l’inconsolabile miseria della condizione umana. Goethe, nel pieno clima dello Sturm und Drang, definì Le Baccanti “la più bella tragedia di Euripide”.
Il cast degli attori è davvero eccezionale, Dioniso, interpretato magistralmente da Daniele Salvo (che è anche il regista), Agave da Manuela Kustermann, Cadmo da Paolo Bessegato, l’indovino Tiresia da Paolo Lorimer, Penteo da Ivan Alovisio, una guardia e il primo messaggero da Simone Ciampi, il secondo messaggero da Melania Giglio. Il Coro delle Baccanti, animato dallo spirito dionisiaco, è composto da Elena Aimone, Giulia Galiani, Annamaria Ghirardelli, Melania Giglio, Elena Polic Greco, Francesca Maria, Silvia Pietta, Alessandra Salamida.
Le Baccanti sono le donne di Tebe che, avendo lasciato le loro case e i loro doveri coniugali, si nascondono tra le fronde degli alberi sul Monte Citerone, danzando e compiendo riti sacri e nefasti in onore di Dioniso. Portano con sé il tirso, bastone sacro al dio, tramite il quale fanno sgorgare fiumi di vino, latte e miele dalle rocce. Dioniso, il dio ingannatore, nato due volte, era uno dei tanti figli disseminati sulla terra da Zeus, marito fedifrago di Era, unitosi con la mortale Semele. Il culto dionisiaco avviene in uno stato di coscienza alterato, espresso con la debolezza insormontabile degli umani di fronte all’onnipotenza divina, il che conduce alla tragedia, all’orrore irreparabile. All’apparir del vero, non può che rivelarsi la caduta della morale, della coscienza corrotta. L’interpretazione del Coro delle Baccanti lascia senza fiato. Uno stato di trance perenne, che incarna il perturbante freudiano. Ottimo lo studio attento che è stato fatto sul suono, con falsetti portati all’estremo, false corde, grida primordiali che rimandano allo stato prenatale. La vocalità è ricercatissima, anticonvenzionale, totalmente al servizio del linguaggio. Infiniti sono i riferimenti, interminabili le emozioni suscitate, a stento si riescono a trattenere le lacrime.
Lo Spirito Dionisiaco, inteso in senso nietzschiano, esprime il pathos dell’istinto vitale, l’ebbrezza dell’eros, gli istinti primordiali e vitali, il caos del divenire. Ed è così che nacque la tragedia greca, grazie all’attaccamento bestiale agli istinti più reconditi dell’uomo. Il tema del delirio, dello stato di incoscienza causato da quella che sembra una possessione dionisiaca viene reso dagli attori in modo sublime, tale da destare il senso di stupore, di meraviglia, di orrore, incarnando perfettamente lo spirito ancestrale della tragedia. Il furor bacchico è il vero protagonista della tragedia antica, e si ricollega in una dimensione quasi astorica alla tragedia dei nostri giorni. La nostra è una realtà anestetizzata, che ci porta a non sentire più dolore, né morte, né orrore e tutto ci scivola addosso, ci crediamo unici, diversi gli uni dagli altri, mentre invece non siamo che cloni, automi che chinano la testa sotto la tempesta.
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